Ileana Tozzi – I Varano. I tempi, i luoghi, la storia (2)

Parte II

Fonte: Storiadelmondo n. 23, 29 marzo 2004
http://www.storiadelmondo.com/23/tozzi.varano2.pdf

A Camerino.

Il Domenicano Leandro Alberti, nella sua Descrittione di tutta Italia compilata intorno alla metà del XVI secolo definisce quello marchigiano come un “buono et dilettevole territorio tutto posto ne’ colli, ornati di belle vigne et di ulivi dalle quali se ne traggono buoni vini et dolce olio con altre
saporite frutte”: tale immagine florida e feconda si attaglia anche alla subregione interna, compresa fra il corso del Potenza e del Chienti, caratterizzata da una zona montuosa di natura calcarea che digrada verso oriente attraverso le dolci balconate di due serie parallele di colline.
I fiumi hanno inciso in profondità nella barriera montuosa, aprendosi la via verso il mare modellando le gole strette e suggestive di Pioraco e e di San Severino, di Serravalle e di Bistocco.
Lungo il corso dei fiumi, fin dall’età romana si disposero gli assi viari, articolati mediante agili ponti e ardite gallerie: la natura del territorio, dall’evidente rilevanza strategica ed economica, determinò l’ importanza storica della città di Camerino, eretta su un’elevata dorsale, che separa le
vallate del Potenza e del Chienti, in posizione dominante sui valichi appenninici e subappenninici.
L’Appennino si apre in un’ampia vallata longitudinale, la cosiddetta sinclinale Camertina, che si protende densamente popolata e coltivata fra le quinte del monte San Vicino (1429 m), del monte Prefoglio (1321 m) e del monte Tre Pizzi (1256 m).
La geografia storica conferma la natura eminentemente difensiva del territorio di Camerino: alcuni diplomi dell’età carolingia registrano già la dicitura di Marca di Camerino, ai confini con il Ducato di Spoleto. Il compito naturale di cerniera, attribuito morfologicamente alla città di Camerino, sarà confermato dalla storia che in un’epoca di incertezza politica troverà nel casato dei Varano il momento più alto per il territorio orgogliosamente cantato dal letterato Francesco Panfilo da San Severino:

“Sunt hic planicies, montis juga, flumina, valle
Irriguus viridi gramine totus ager
Omne genus pecoris florentia pabula tondent”

La città di Camerino sorge e si sviluppa nel corso dei secoli grazie alla sua natura fortemente
radicata nel territorio dove sono fiorenti le colture tradizionali, da cui deriva il suo più antico
benessere: benchè l’insediamento romano ricordato da Plinio non sia facilmente individuabile nei
segni consueti dell’urbanistica e della centuriazione, resi labili dagli eventi sismici o
impropriamente tracciati nelle aree collinari, resta ad ogni modo attestato dai numerosi reperti
archeologici.
L’alto medioevo, pur caratterizzato da un progressivo spopolamento delle campagne ai tempi della
guerra greco-gotica, vede Camerino entrare nell’orbita del Ducato di Spoleto. Il territorio viene
rapidamente ricolonizzato, secondo le norme dettate da Carlo Magno nel Capitulare de villis, così
come attestano i documenti dell’abbazia di Chiaravalle di Fiastra, che registrano la presenza di
vineae e di terrae cultae.

Nel 1356, un documento del Codex Diplomaticus Domini Temporalis S. Sedis attribuisce a Camerino ben 72 ville, intese come insediamenti rurali, contro le 35 di Urbino o, le 25 di Jesi, le 17 di Casteldurante: ma già a quel tempo il paesaggio agrario era parte integrante del potere signorile dei Varano.
La signoria varanesca incrementa infatti l’economia locale, favorendo lo sviluppo di un artigianato che si specializza nella produzione di pannilana, presenti sul mercato italiano ed europeo grazie ad una fitta rete di mercatura, da Roma a L’Aquila, da Firenze a Venezia, e da qui verso il Nord
Europa.
L’abbondanza dei pascoli, il tradizionale allevamento di ovini, l’opportunità di sfruttare da Muccia a Sfercia le acque del Chienti per alimentare le gualchiere costituiscono i presupposti ambientali, valorizzati dalla politica economica dei Varano.
Gli opifici delle folle, o valche, erano adibiti del pari alla produzione della carta, lavorata tradizionalmente a Pioraco. Qui i Varano erano proprietari di alcune cartiere, come attesta il contratto di acquisto con cui nel 1355 Rodolfo di Berardo acquista dal cugino Rodolfo di Giovanni
“… palatium et valcherias et domos cum terris et possessionibus positis in castro Ploraci”.
Gli stessi signori incentivano l’impianto di nuove fabbriche da parte dei mercanti camerinesi, che se ne riservano la gestione concedendole in affitto alle maestranze locali.
La carta filigranata di Pioraco, distinta in “ fine” e “ fioretto”, di prima e seconda qualità, è contraddistinta da svariati marchi, come la stilizzazione dell’oca, del drago, della lepre, alternati a soggetti religiosi o araldici. Accanto alla carta, fabbricata con gli stracci, dunque con i residui della
più abbondante e prestigiosa produzione di tessuti, era diffusa l’arte della concia. La lavorazione di pelli e pellicce soddisfaceva il fabbisogno di “ carte pecore et corami”. In particolare, la lavorazione del cuoio pirografato raggiunse livelli di elevata perizia tecnica e raffinatezza per gli arredi sacri e le tappezzerie in genere.
Ma la produzione più importante resta quella della lana: già nel 1398 lo statuto delle gabelle di Roma elenca fra le merci importate il “ panno de Camerino”. I registri doganali del 1444 consentono di indicare l’entità dei commerci di pannilana da Camerino a Roma, nella misura del 10%
dell’importazione complessiva 1
. Un decennio più tardi, la percentuale si sarebbe quasi raddoppiata,
raggiungendo il 2° posto dopo Firenze per entità dei commerci. Nel 1474, i comuni di Camerino, Ancona ed Ascoli stipulano un “ trattato di concittadinanza”, consociandosi per quanto attiene al
mercato delle lane.
La florida economia di produzione e di mercato impiantata a Camerino attira in città una folta colonia di ebrei, che vi aprono ben quattro banche, mentre i frati dell’Osservanza impiantano il Monte di Pietà.
Le relazioni politiche, gli incarichi militari assegnati ai Varano da Firenze e dalla Repubblica di Venezia costituiscono il presupposto per consolidare l’economia camerinese.
Tra il 1470 ed il 1471, Lorenzo de’ Medici invia in missione diplomatica presso la corte di Giulio Cesare Varano il poeta satirico Luigi Pulci: questi approfitta della sua permanenza nella Marca di Camerino per curare delle collaterali attività mercantili, come testimonia un sonetto di Matteo
Franco che gli attribuisce l’intenzione di andar “ cercando el chermisì”. Il cremisino, o carmesino,

era una tintura naturale estraibile dalla pampinella, un vegetale diffuso nella zona del monte San Vicino. L’interesse dei mercanti forestieri verso il cremisino indusse il Consiglio di Credenza di Sanseverino a regolamentarne la raccolta e la commercializzazione.
All’interno dello stato, vengono istituiti i “mercatali”, spazi commerciali a cui affluiscono quotidianamente i prodotti della campagna, e i santuari, sedi delle tradizionali fiere annuali, vengono dotati di strutture recintate, atte allo stoccaggio ed alla vendita delle merci: è il caso del santuario di Macereto, dove è contiguo al tempio bramantesco un più antico porticato le cui arcate sono intercalate da muretti di recinzione, utilizzabili come banchi di vendita in occasione della fiera dell’Assunta.

Il reticolo viario che collega i piccoli centri che costellano il territorio della Marca di Camerino segue prevalentemente il corso dei fiumi a fondovalle, ricalcando il tracciato delle consolari e raccordando alla via Flaminia le arterie minori: possiamo rintracciarne la trama nello scorcio paesaggistico di una Madonna del Boccati, in cui l’artista camerinese raffigura il profilo distante, innevato dei monti, l’andamento sinuoso del fiume, che si ripete nei rilievi collinari su cui sono polverizzati i piccoli agglomerati dell’epoca dell’incastellamento.
I tragici avvenimenti del 1502, l’instabilità politica che precede e segna agli inizi la riconquista dello stato da parte dell’unico Varano sopravvissuto alle stragi del Borgia, l’assedio ed il saccheggio subiti da parte di Sciarra Colonna nel 1527 minano inesorabilmente la stabilità dell’economia
camerinese, destinata ad un lento declino, che i rappresentanti dell’Arte della Lana ed i mercanti tentarono di arginare mediante la riforma degli Statuti (1577) e la diversificazione della produzione, incrementando la bachicoltura e la produzione di seta.
Gradualmente la città veniva riassorbita tra le “regioni introvabili” dello Stato Pontificio 2 : benchè dopo la devoluzione del 1539 Camerino, definita da Paolo III “ in umbilico fere Ecclesiasticae Iurisdictionis”, sia scelta come capoluogo di una legazione che si estende a sud-est fino ad abbracciare nell’Umbria Spoleto, Visso, Cerreto,Terni, Cesi, Narni, fino a comprendere Rieti, il processo di centralizzazione favorisce la polarizzazione di Macerata indebolendo progressivamente l’economia locale.

1 Nel semestre Ottobre 1444-Aprile 1445, il dazio di Roma registra l’importazione di 541 panni di lana, segnandone la provenienza:
Da Firenze 367
Da Verona 77
Da Camerino 54
Da Ferrara 10
Da L’Aquila 10
Da Prato 8
Da Londra 4
Da Milano 1
Di varia o non indicata provenienza 10

2 Cfr. al riguardo R. Volpi, Le regioni introvabili. Centralizzazione e regionalizzazione dello Stato Pontificio, Bologna
1983.

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