Ileana Tozzi – I Varano. I tempi, i luoghi, la storia (6)

Parte V

Fonte: Storiadelmondo n. 27, 5 luglio 2004
http://www.storiadelmondo.com/27/tozzi.varano6.pdf

A Ferrara

“…E adì 27. Di Settembre il Marchese Lionello dette per moglie Camilla sua Sorella a Ridolfo Varani Signore di Camerino” 1 : così il Muratori nelle Antichità Estensi registra all’autunno del 1444 l’innesto del casato dei Varano a Ferrara, la città mirabilmente descritta nei fasti delle opere realizzate Opere di Borso d’Este: “Grandi somme di danaro spese egli in fabbricar le Mura di Ferrara da Castelnuovo fino al Barbacane, chiudendo nella Città i Borghi della Ghiara, e il Polesine di S. Antonio; in rifare Castelvecchio; in piantare la fortezza di Reggio, e la Rocca di Lugo; in fortificare Canossa e Rubiera; in rifare le mura della Città d’Argenta; in accrescere il Palagio di Schivanoja; in fabbricarne di pianta altri, cioè uno presso la Cabianca, e un altro del Pasino entro la Città, e fuori quei di Benvegnante, di Bellombra, di Fossa d’Albero, di Quartesana, di Ostellato, e di Monte Santo; in avere eretto l’insigne Monistero della Certosa con altri Monisteri, Chiese, e Campanili; in far selciare tutta la Via de gli Angeli, e ornarla di due file d’alberi dall’una parte e dall’altra; e in aver proccurato a quella Città mille altri abbellimenti, comodi, e delizie” 2 .
L’attività di Borso fu proseguita alla sua morte dal fratellastro Ercole I: “Di grandi benefizj lasciò ancora Ercole I. alla sua Città di Ferrara; perciocché le fece un’ingrandimento notabilissimo, chiamato poscia l’Addizione Erculea, coll’averla accresciuta di quasi tre miglia di recinto, inchiudendo in esso la Chiesa de gli Angeli, la Certosa, Belfiore, il Barchetto, il Borgo de’ Lioni, Santa Catterina Martire, San Barnaba, San Guglielmo, il Ronchegallo, il Borgo di San Leonardo, e Sant’Anna, con nuove mura, porte, e fosse. E tale fu l’ansietà con cui attese egli a sì fatto ornamento di quella Città, che vide prima di morire tutta quella gran giunta ornata di magnifiche strade con superbi Palagi, Chiese, e Case, fabbricate parte da lui, e parte da i Nobili e da i Cittadini di Ferrara, in guisa che quella Città giunse alla gloria d’essere riputata una delle più insigni d’Italia. Oltre a ciò con incredibil magnificenza fabbricò fuori di Ferrara il Parco, appellato Barco grande, per delizia non meno sua, che del suo Popolo. Ma perciocchè questo Principe si distinse massimamente nella Religione e Pietà, eresse a sue spese in Ferrara vari Tempi e Monisteri di Religiosi e Religiose, e s’ingegnò, affinchè tutte l’altre già fabbricate o si abbellissero, o si rifacessero; né vi fu Monistero, che non entrasse a parte della di lui munificenza, con averne le loro Sagristie ricevuto paramenti di gran valore, vasi d’argento, pitture, ed altri doni. Costumava egli ancora nel Giovedì Santo di dar da mangiare a cento cinquanta Poverelli, con servir loro umilmente alla tavola insieme co’ suoi Cortigiani, e con lavar loro egli di sua mano i piedi, congedandoli poscia con buona limosina. Né c’era in Italia Principe, che avesse una Cappella sì ben provveduta di Musici e Cantori, come Ercole, il quale si compiaceva forte di udirli spessissimo nelle Chiese, dove interveniva a i sacri Ufizj. Dilettavasi eziandio di fare rappresentare ogni anno la Passion del Signore, o l’Annunziazion della Vergine, o la Vita di qualche Santo, con tale suntuosità d’ apparato, di musica, e di rappresentanti, e con tal piacere, estasi, e divozione del Popolo, che per attestato de gli Storici pareva a tutti talvolta d’essere in Paradiso. Proccurò ancora altri diletti al medesimo Popolo, con frequenti corse di cavalli, caccie, combattimenti militari, ed altri spettacoli, e sopra tutto con fare rappresentare (cosa allora insolita) ora una Commedia di Plauto, & ora un’altra di Terenzio, e alcune ancora composte da i Letterati d’ allora, ch’ egli amava forte, favoriva, e premiava. In fatti fiorirono al suo tempo in Ferrara il Conte Matteo Maria Boiardo, Pandolfo Collenuccio, Tito Strozza, ed Ercole suo Figliuolo, Niccolò Leoniceno, Pellegrino Prisciano, Antonio Cornazzano, Batista Guarino il vecchio, Giovanni Maria Riminaldo, Cosmo Pasetto, e Antonio Tebaldeo insigne Poeta, e Segretario d’esso Duca, per tacere di molt’ altri de gli Ordini Religiosi, che furono di singolare ornamento a quella Città” 3 .
Il ramo primogenito di casa Varano s’innesta dunque a Ferrara fin dai tempi di Rodolfo IV che, in occasione delle nozze di Lionello d’Este con Maria d’Aragona (1444), aveva conosciuto Camilla, figlia naturale di Nicolò III e dunque sorellastra di Lionello, che avrebbe sposato quattro anni più tardi, nel settembre 1448.

Dalle nozze fra Rodolfo IV e Camilla d’Este era nato Ercole, destinato a raccogliere le sorti della dinastia, poichè “ compreso co’ fratelli nell’investitura, che dello stato di Camerino diede Paolo II nel 1468 al cugino Giulio”, così come attesta la genealogia di casa Varano. Colpito dalla proscrizione decretata nel 1502 da Alessandro VI contro i Varano, affiancò il cugino Giovanni Maria nelle lotte per recuperare lo stato, rimanendo ingiustamente escluso dalla successione: perorata la propria causa a Roma, nel 1523, alla corte di papa Adriano VI, quell’Adriaan Florensz che era stato precettore dell’imperatore Carlo V che regnava con imparzialità e senso rigoroso dello stato, non riuscì ad ottenere la reintegrazione nei suoi diritti per la morte improvvisa del pontefice.
Qualche anno più tardi, morto Giovanni Maria, Ercole si risolse insieme con i figli Mattia ed Alessandro ad intraprendere una spedizione militare contro Rodolfo, figlio naturale del duca. Questi “ quando il padre era moribondo venne subito da Visso, ov’era governatore, a Camerino. Il padre si turbò a vedere, o temesse di udire da lui pretensioni alla cessione dello stato, o fosse presago ch’egli era per essere la cagione delle future calamità della famiglia, o finalmente perchè in quel punto estremo la di lui presenza richiamasse alla sua mente un delitto. Il padre spirò mentre gli aveva ordinato, che ritornasse al suo governo, ond’egli seguì la sua tutrice, Caterina, che nell’occasione della morte del marito, si ritirò nella rocca. Trovandosi quivi, cedè ai perfidi consigli di Venanzio della Serra San Quirico, che lo spingeva ad impadronirsi del potere”.
Un ruolo attivo e scellerato ebbe in questi frangenti l’ambiziosa moglie di Rodolfo, Beatrice, figlia naturale di Fabrizio Colonna, principe di Tagliacozzo, che, dopo il vile imprigionamento di Caterina Cybo, sollecitò l’intervento del fratellastro Sciarra Colonna che in quel momento si trovava con le sue milizie in Umbria.
L’ingiuriosa carcerazione della vedova del duca provocò la violenta reazione del cardinal Cybo, che venne a cingere d’assedio la città per soccorrere la sorella.
Camerino fu esposta al saccheggio; lo scontro, violento e sanguinoso, fra le milizie pontificie e le truppe di Sciarra Colonna si risolse a favore di quest’ultimo che, impossessatosi della città, estromise dal potere il cognato Rodolfo, concedendogli di aver salva la vita e la libertà a condizione che abbandonasse ogni pretesa ed accettasse l’esilio.
La genealogia dei Varano registra così gli eventi che seguirono: “ passò inosservato fra gli assedianti e per la via de l’Appennino s’incaminò verso gli Abruzzi. Se n’andava pe’ fatti suoi provveduto di tutto ciò ch’e aveva potuto rubare, quando fu raggiunto da Alessandro Varano, ch’era accompagnato da molti contadini, e svaligiato. Gli riuscì però di salvarsi nel castello delle Preci ove erano poco prima entrati i fuorusciti ghibellini di Spoleto e di Norcia. Fu subito assediato quel castello dal vicedelegato della Marca, ed egli tradotto prigione colla moglie nella rocca di Pesaro. Gli fu restituita la libertà ne’ patti convenuti da Sciarra nel cedere Camerino alle armi ecclesiastiche, e si crede che finisse i suoi giorni decapitato in Macerata”, dove lo colpì probabilmente la vendicativa Caterina Cybo, che ebbe restituito lo stato di Camerino da papa Clemente VII.
Intanto, Ercole che aveva combattuto strenuamente all’assedio della città, riconquistando il borgo San Venanzio, si vedeva ancora una volta escluso dal potere e privato del riconoscimento dei suoi diritti: papa Clemente VII, però, aveva stabilito un accordo che avrebbe potuto garantire la riconciliazione dei due rami ed il consolidamento del casato, divisando il futuro matrimonio di Giulia con uno dei figli di Ercole, secondo le ultime disposizioni del defunto duca.
Mattia ed Alessandro, però, dubitarono della fedeltà della reggente a questi patti e ripresero le armi contro Camerino.
Sconfitti, furono costretti a tornare con Ercole a Ferrara, colpiti da una condanna a morte (sentenza del 27 maggio 1528).
Intanto, nel 1535 Caterina Cybo dava in sposa la figlia Giulia a Guidubaldo della Rovere, duca di Urbino, sentendosi svincolata da ogni obbligo nei confronti dei Varano di Ferrara, contro i quali era animata da un odio ormai inestinguibile.
In quello stesso anno, Ercole Varano era riuscito finalmente a vedere riconosciuti i suoi diritti dal neoeletto pontefice Paolo III.
Il 7 gennaio 1535, aveva ricevuto così l’investitura di duca di Camerino e sembrava ormai sicuro di poter consolidare il governo dello stato, quando la rapace politica nepotista di Paolo III affidò il ducato ad un Farnese, accampando a pretesto contro il duca Ercole la sentenza pronunciata contro di lui nel 1528 dal commissario pontificio.
Dal 1540, anno in cui il papa aveva pubblicato la bolla d’investitura di Camerino alla Casa Farnese, fino al 1542, il vescovo Parisani fu incaricato dal papa affinché persuadesse Ercole Varano a rinunciare ai diritti riconosciutigli da Paolo II, Sisto IV e dallo stesso Paolo III, ricevendo in compenso 32.000 scudi d’oro.
Il ricostituito Archivio Storico di Casa Varano conserva la “ cedola di assegnazione fatta a Don Ercole Varano di Camerino della rendita di ducati N.° 600 sopra li Monti di Bologna dal dì che sarà rattificata la cessione del Ducato di Camerino a favore del Sig. Ottavio Farnese Duca di Camerino”.
L’atto, datato 15 maggio 1545, è rogato dal notaio romano Lodovico Ridotto ratificando quanto già previsto da un precendente rogito del notaio Nicolò Casolano, riguardo al contratto di cessione “ delle raggioni, et altri beni del Ducato di Camerino (…) in favore dell’Illustriss.° signor Ottavio
Farnese”.
Intanto, Guidubaldo della Rovere, marito di Giulia Varano, provò a far valere contro il pontefice i suoi diritti, senza però trovare appoggio ne’ da parte dei Veneziani, impegnati nella guerra contro i Turchi e pertanto interessati a mantenere l’amicizia del papa, ne’ da parte dell’imperatore Carlo V, che si era legato in alleanza con il papa dando in sposa la figlia Margherita d’Austria ad Ottavio Farnese.
I diritti di Giulia vennero però riconosciuti: le vennero infatti dati gli allodiali insieme con 78.000 scudi d’oro affinchè rinunciasse ad ogni pretesa sullo stato di Camerino 4 .
Giulia morì ad Urbino nel 1547, a soli ventiquattro anni. Più tardi, Guidubaldo avrebbe dato in sposa l’unica figlia, Virginia, a Federico Borromeo, nipote di Pio IV, confidando che questi avrebbe potuto restituire alla sua casata il ducato di Camerino.
La morte del papa, il 9 dicembre 1565, troncò definitivamente ogni progetto.

Ercole, dunque, ridotto a privato gentiluomo, fissò la sede della sua famiglia a Ferrara, dove aveva trascorso la prima giovinezza “ ed ove dal duca Ercole I suo zio aveva ricevuto il cingolo militare”.
Dalla moglie Filippa de’Guarnieri, gentildonna ferrarese, aveva avuto i figli Mattia, Alessandro (morto prima del 1542), Fabrizio, nominato dal Re di Portogallo cavaliere dell’Ordine di Cristo e da papa Paolo III cavaliere di San Paolo (+ 1553), Giulia, Camillo, Faustina, Piergentile, Ippolita, Isabella, a cui si aggiunsero i figli naturali Camilla e Cesare. Morì a Ferrara nel 1548.

Cinquanta anni più tardi, alcuni suoi sonetti furono raccolti e stampati fra le rime del Caporali.
A Piergentile si deve l’ultimo tentativo di riscattare con le armi il ducato di Camerino: alla morte di Paolo III, infatti, mentre era ancora in corso il conclave allestì una spedizione e penetrò nelle Marche. Il legato di Camerino “ temendo che vi fosse ancora un forte partito fedele agli antichi Signori, voleva abbandonare subito la città, ma fu trattenuto ed i consiglieri prestarono nelle sue mani un nuovo giuramento di fedeltà. Nello stesso tempo furono mandati capitani con truppe nelle quattro fortezze più importanti dell’antico Stato, Santanatoglia, Gagliole, Serravalle e Fiordimonte. Il Varano con le soldatesche del capitano Pasqualigo Albanese attaccò Santanatoglia e Castelraimondo, ma, trovata una forte resistenza e deluso nella speranza che le popolazioni si sollevassero in suo favore, si ritirò per cercare altri aiuti nella Marca. Invece di aiuti incontrò un esercito della Chiesa dal quale fu sconfitto e preso prigioniero”.
Il cardinale Giovanni Maria Ciocchi del Monte, eletto papa con il nome di Giulio III, perdonò Piergentile rendendogli la libertà.
Abbandonato ogni progetto di restaurazione dello Stato, Piergentile combattè nel 1552 per la repubblica di Siena, contro Cosimo de’ Medici ed il suo potente alleato, Carlo V.
Fu poi al servizio di papa Pio V, del re di Francia e del duca di Ferrara, che lo nominò governatore di Brescello. Morì nel 1598.
Il casato proseguì con Mattia, che aveva preso parte alle sfortunate imprese del 1527 e del 1534 per il riscatto del ducato di Camerino.
Così la genealogia latina di casa Varano ne tratteggia brevemente la figura e le imprese: “ Matthias Varanus militavit in prima aetate Regi Franciae Francisco, postea Carolo V Imp. Et Florentinis in ipsorum obsidione anno C. 1529. Remansit Pisa generalis Capitaneus, tristia qui multa passus est.
Bis recuperare Camerinum tentavit, dum Julia Iohannis Mariae Varani ipsi denegabatur prelio quosdam conduxit, qui ipsum claro noctu intromiserunt venitque ad Catharinam Juliae matrem, quam diu, multumque precibus sollicitavit, ut ipsi Juliam in uxorem daret, qui vivebat in Arce quadam sub tutela Heronimi Cibi. Sed cum precibus nihil apud Catharinam obtinens, tandem re vi tentavit, et mane stricto gladio eam invasit, simulans, se eam velle occidere – illa nihil turbata magno et constanti animo confessionis tempus petiit, postea genu incurvato collum ei porrigit.
Matthiass eius constantia commotus, voluit eam incarcerare: Interim illa alterius auxilio fuga salutem sibi quaesivit venitque in civitatem, ubi se munivit et 18 viros qui clam Matthiam intromiserant, suspendio mulctavit, corporibus a civitatis muro proiecti”.
Proprio Mattia si era reso responsabile dell’oltraggiosa cattura di Caterina Cybo, da cui aveva preteso invano l’adempimento del patto che attraverso le nozze con Giulia, l’unica figlia di Giovanni Maria, avrebbe ricostituito lo stato e rinsaldato casa Varano.
Ritiratosi a Fano, fu obbligato dal governatore ad imbarcarsi, per evitare le rappresaglie del duca di Urbino.
Ancora una volta fu costretto alla fuga quando, nel 1539 a Roma, aveva accompagnato il padre a perorare la sua causa al cospetto di Paolo III: “ forzato alle circostanze imperiosamente comandate dalla forza, strinse parentela co’ Farnesi, che lo avevano spogliato, e Paolo III alloerchè erasi sdegnato contro Carlo V per l’uccisione di Pierluigi Farnese, lo nominò generale della Lega, che aveva divisato di stringer con Enrico II di Francia”.
In quel tragico momento, Paolo III sospese peraltro le assemblee del Concilio di Trento, meditando di trasferirne la sede in una città dello Stato Pontificio, arrivando poi allo scioglimento, il 13 settembre 1549. Mattia Varano morì in Ferrara nel 1551.
Dalla moglie Battista di Galeazzo Farnese de’ duchi di Latera, aveva avuto Battista, andata in sposa a Lodovico Confalonieri, patrizio piacentino, ed Ercole, nato nel 1546, ricordato fra i più valorosi militari al seguito di Prospero Colonna nella spedizione del 1565 a Malta. Inviato in Spagna nel 1559 da Alfonso II in missione diplomatica, nel 1589 vestì l’abito di monaco certosino.

Morì in Spagna nel 1592. Colto e raffinato estimatore delle arti e delle lettere, Ercole Varano aveva promosso a Ferrara l’istituzione di un’accademia. Una sua lirica è conservata nella raccolta delle
rime dei poeti ferraresi.

Piergentile aveva avuto dal matrimonio con Claudia Machiavelli il figlio Giulio Cesare, “ primo nominato tra i consiglieri del Primo Ordine da papa Clemente VIII nella costituzione del 15 giugno 1598 per la riforma del magistrato e per l’istituzione del Consiglio Centumvirale ”.
Questi sposò Chiara di Giannandrea Pio di Savoia, da cui ebbe tre figlie femmine, Costanza, andata in sposa a Mario Calcagnini, marchese di Formigine, Claudia e Margherita, destinate alla monacazione con i nomi di Suor Maria Gentile e Suor Maria Chiara, ed un figlio maschio, Carlo Francesco, che nel 1629 fu nominato ciambellano alla corte di Ferdinando II.
Fu l’imperatore a concedergli il privilegio di adottare le antiche insegne gentilizie, aggiungendo ad esse l’aquila bicipite con lo stemma Varano in petto.
Carlo Francesco Varano rivestì fin dal 1633 per conto della città di Ferrara cariche pubbliche di prim’ordine, fra cui si segnala nel 1662 l’incarico di Giudice dei Savi.
Morì il 31 dicembre di quello stesso anno: “ molti attribuirono la sua morte a veleno, avendo egli concepito disegni, che voleva portare in esecuzione sollecitamente, i quali benche’ di grande utilità al pubblico, erano molesti agli interessi di molti privati”. L’orazione funebre ai solenni funerali fu tenuta con sinceri accenti di rimpianto dal dottor Almerico Passarelli 5 .
Carlo Francesco Varano aveva sposato in prime nozze Lucrezia Fiaschi, marchesa di San Dalmazio.
Alla morte della prima moglie, aveva sposato Francesca Riario, vedova del marchese Annibale Campeggi di Bologna; infine, prese in moglie Ippolita Strozzi.
Ebbe tre figli, Giulio Cesare, abate commendatario di Santa Maria di Ferrara, uomo di notevole cultura, morto in giovane età, Giuseppe, uomo politico e letterato di buona fama, Alfonso, al servizio di Cristina di Svezia e poi del cardinale Rinaldo d’Este.
Alfonso prese in moglie la contessa Chiara di Scipione Bonacossa, da cui ebbe i figli Scipione, sacerdote, morto a Venezia il 2 marzo 1732, Carlo, al servizio della casa di Brunswich nell’elettorato di Hannover (+ 1718), Giulio Cesare, capitano del reggimento Varano al servizio dell’ultimo duca di Mantova.
Dalla prima moglie, Ippolita Camilla Brasavola, morta nel 1706 a 35 anni di età, Giulio Cesare ebbe i gemelli Giuseppe e Francesco, nati il 22 settembre 1693, destinati alla vita religiosa nell’Ordine di san Benedetto nella Congregazione Cassinense, e nel 1705 Alfonso, destinato a segnalarsi come “ uno de’ più distinti poeti de’ suoi tempi, e senza fallo tra i restauratori del buon gusto, essendo stato sempre in tutte le sue produzioni affatto alieno dalle turgidezze e dalle stravaganze, in cui erano ingolfati i suoi contemporanei, (…) ad un tempo poeta lirico, tragico ed epico”, così come lo
tratteggia la genealogia familiare.

Fra il Cinquecento ed il Settecento, dunque, i Varano prendono parte attiva alla vita politica e culturale dei Ducati padani, dapprima legando le proprie sorti agli Estensi, che tradizionalmente privilegiarono la virtù del sangue e delle armi rispetto alle fortune acquisite dalla cosiddetta “nobiltà creata”.
Così fedelmente esercitarono la “rappresentanza” nei feudi locali rivelandosi funzionari accorti e competenti fino a quando l’estinzione della discendenza diretta di Alfonso II non determinò la devoluzione del ducato di Ferrara al Papa.
Ancora una volta, i Varano seppero offrire i loro servigi ai Pontefici, agli Imperatori d’Austria, ai sovrani europei ricevendone concordi apprezzamenti tanto per le virtù militari, quanto per le abilità diplomatiche e le qualità umane.
Nel casato ferrarese, si distinse per meritata fama il letterato Alfonso Varano (1705-1788), sensibile inteprete dell’animo religioso che pure attraversa l’età dei Lumi.

La vita lunga ed operosa del poeta, nato a Ferrara il 13 dicembre 1705 da Giulio Cesare, capitano del Reggimento Varano presso l’ultimo duca di Mantova, e dalla nobildonna Ippolita Camilla Brasavola, nipote di quell’Alfonso che era stato al servizio della regina Cristina di Svezia, fu dedicata con passione ed estrema coerenza morale all’attività letteraria, intrapresa in età giovanile 6 e coltivata incessantemente fino alla morte, che lo colse nell’ottantatreesimo anno di età, il 23 giugno 1788.
A venti anni, meritò gli elogi del cardinale ferrarese Cornelio Bentivoglio grazie all’egloga L’Incantesimo, a cui seguirono Il monumento di Dafni, La contesa, Gli auguri e gl’indovinamenti, componimenti ad imitazione di Virgilio e Teocrito.
Modellando la propria poesia sull’eredità dei classici, Alfonso Varano si accostò stilisticamente alle correnti arcadiche: compose così rime pastorali e giocose, capitoli berneschi, anacreontiche confluite nella pubblicazione delle Opere poetiche del 1805.
Nel 1726 fu accolto nel novero dell’Accademia della Crusca; pochi anni più tardi, entrò in Arcadia con l’appellativo di Odimo Olimpico.
Se ne sarebbe sdegnosamente allontanato nel 1780, dopo la pubblicazione non autorizzata di alcuni sonetti nella miscellanea delle Rime degli Arcadi. Accanto ad alcune liriche giovanili, Alfonso Varano ripudiò più avanti negli anni il componimento per le nozze del Duca di Parma Antonio Farnese ed Enrichetta d’Este.
Passando attraverso l’esperienza delle canzoni di argomento religioso In lode dell’Immacolata Maria Vergine Madre di Dio e Nella risurrezione del Salvator nostro Gesù Cristo, il poeta maturò l’intento compositivo delle Visioni, dodici componimenti in terzine dantesche che prendono spunto da motivi occasionali, di volta in volta commemorativi o encomiastici, evocativi o descrittivi, scelti a pretesto poetico per trattare di argomenti “sacri e morali”.
L’intento dichiarato dall’aristocratico intellettuale ferrarese fu quello di restituire una chiave di lettura parenetica al laicismo esasperatamente razionalista dei suoi tempi.
L’esplicita polemica che lo oppose al Voltaire, misurata nei toni argomentativi ma strenuamente determinata negli intenti, colloca il Varano in una posizione dominante all’interno di una catena culturale che attraversa la storia letteraria italiana da Dante al Manzoni: egli infatti seppe farsi interprete di un sentimento religioso, condiviso e diffuso, che lega al trascendente i più vari e disparati aspetti dell’esperienza umana, specchiando nel Divino le forme mutevoli e parziali di ciò che è contingente.
Intimamente convinto ed ispirato, coerente con le sue scelte di vita verso un rigore che impronta e determina la circolarità esaustiva di un’esperienza ad un tempo poetica ed umana, il Varano ha un suo ruolo non secondario nella fortuna Dantis proponendosi di recuperare stilisticamente le prerogative di un’espressività densa, dogmaticamente salda, concettualmente lucida ed elevata.
Le terzine delle Visioni, che la critica letteraria definirà più tardi “varaniane”, si modellano sul paradigma dantesco senza appiattirsi su di una dimensione semplicisticamente imitativa.
Sul lessico del volgare dei primi secoli si sono sedimentate infatti le raffinate acquisizioni linguistiche degli umanisti, le argomentazioni lucide del Cinquecento manierista, le espressioni rutilanti e suggestive del Barocco.
Dall’alta poesia della Commedia Alfonso Varano mutua il riferimento scritturale che trascende la tradizione mitopoietica, raccogliendo sapientemente nella lingua e nel repertorio delle immagini l’eredità del Seicento, filtrata dalla sua squisita, autentica sensibilità religiosa.
Ciò emerge nettamente nelle Visioni che prendono spunto da calamità che stravolgono la vita degli uomini e delle cose, tramutano i paesaggi, mostrando il volto deforme e cruento della natura.
La vita di Alfonso Varano trascorse dunque quieta e riservata nella città natale, dove il nobile uomo di lettere godette della stima dei contemporanei, apprezzato come esperto di araldica e di cavalleria.
La sua fama di scrittore fu concordemente riconosciuta ed onorata dai contemporanei, tanto che la poetessa francese Madame du Boccage, autrice di un “ Paradiso perduto” modellato sul poema del Milton, inserì la tappa ferrarese nel suo viaggio in Italia del 1757 proprio per conoscere Alfonso
Varano.
Curò con dedizione l’educazione e la carriera del nipote Rodolfo, affidatogli come pupillo alla morte del cugino Venanzio Maria (1699-1752).

1 L. A. Muratori, Antichità Estensi, parte seconda, cap. VIII, p. 206.
2 Ivi, pp. 224-225.
3 Ibidem, pp. 278.
4 Giulia aveva goduto del privilegio di battere moneta, in ricordo degli onori ricevuti da papa Clemente VII.
5 Orazione funebre del dottor Almerico Passarelli, pronunciata in occasione delle solenni esequie di Carlo Francesco Varano (+ 31 dicembre 1662).
6 Appena diciassettenne, viene nominato principe dell’Accademia di Lettere presso il Collegio dei Nobili di Modena dove compie gli studi umanistici.

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