Ileana Tozzi – I Varano. I tempi, i luoghi, la storia (1)

Parte I

Fonte: Storiadelmondo n. 21, 16 febbraio 2004 – http://www.storiadelmondo.com/21/tozzi.varano1.pdf

Il periodo che con una felice espressione l’Huizinga definì come autunno del medioevo è segnato da eventi che pervadono la storia della civiltà italiana: benchè il fallimento di una politica atta ad avviare anche qui il processo di formazione di uno Stato nazionale porti a gravi conseguenze
destinate a condizionare le epoche successive, pure l’epoca dei Comuni e delle Signorie è fra le più vitali della storia italiana, legando indissolubilmente le sorti di una terra alle fortune di un casato che in essa è radicato.
L’evoluzione istituzionale del libero Comune nelle forme autocratiche dello Stato Signorile rispecchia sul piano ideologico il principio di autorità definito da Marsilio da Padova nel “Defensor pacis”: il Signore è infatti in primo luogo legislatore, espressione di quella “pars valentior” che rappresenta la comunità facendosi garante del “bene esse”.
La sovranità popolare dunque non è negata, quanto piuttosto delegata nel processo di insignorimento che caratterizza la storia italiana attraverso i secoli dal XIV al XVI, mediante la graduale trasformazione del Comune in Signoria, della Signoria in Stato Ducale o Principato.
Tale processo è posto in atto, nel territorio della Marca di Camerino, dal casato dei Varano, che scrive una pagina di storia urbana destinata a non esaurirsi nell’arco di tre secoli e nello spazio del territorio contermine: le vicende storiche della Signoria camerte, infatti, risultano epifenomeniche
rispetto ad una tendenza più generale, costituendo per molti versi il filo conduttore della storia nazionale.

Una dinastia di parte guelfa

La storia d’Italia è la storia delle “cento città” mai assurte ai ranghi delle future capitali – della politica, dell’arte, dell’economia – che pure hanno contribuito a diffondere i principi fondanti la civiltà comunale e signorile.
“L’aria della città rende liberi”: questo codicillo annotato da un notaio bolognese a margine di un suo bastardello non contrappone soltanto la città alla campagna, proponendo più aperte e versatili forme di vita associata rispetto alle tradizionali più rigide modalità, retaggio degli antichi regimi
feudali.
La libertà, in età comunale, pure subordinata alle scelte ideologiche di fondo, che legavano la città alle sorti del Papato o dell’Impero, è intesa innanzi tutto come prospettiva, nel rispetto e nell’attuazione delle norme statutarie sancite autonomamente da ciascun Comune, come opportunità
consentita a ciascun individuo affinché possa manifestare ed affermare le proprie potenzialità.
La crisi dell’Impero, lo spopolamento delle città nei secoli bui dell’alto medioevo segnano questi abitati insieme con i territori limitrofi, ma non ne stravolgono l’assetto economico ne’ intervengono a modificare la fitta trama della società, che si radica fortemente nella tradizione agropastorale
gradualmente aprendosi al commercio ed agli scambi.
Lungo la dorsale appenninica dell’Italia mediana, il Cristianesimo si diffonde fin dai primi secoli seguendo il tracciato delle antiche vie consolari che si diramano da Roma, scandite dalle catacombe e dai cippi che segnano i luoghi consacrati dal martirio dei testimoni della nuova fede, qui si originano nei secoli della decadenza le prime forme di vita cenobitica derivate dall’intuizione di San Benedetto da Norcia, destinate a culminare nella fondazione farfense.
Il periodo dell’incastellamento vede munirsi di nuove difese i vetusti insediamenti, che mai hanno cessato di essere città: più alte mura si ergono dunque a cingere gli antichi abitati, su cui svettano ora le case-torri ed i campanili delle chiese.
L’età comunale segna, qui prima ancora che altrove, il termine di un secolare declino.
Mentre l’agricoltura viene ad incrementarsi grazie al ricorso a strumenti ed a tecniche innovative, tornano a fiorire le attività di un artigianato di prim’ordine, specializzato nella produzione di tessuti di pregio, nella concia e nella lavorazione dei pellami, nella fabbricazione di laterizi; fioriscono del pari i traffici ed i commerci, ad opera di intraprendenti mercanti che sfidano i rischi dei lunghi viaggi lungo le rotte dell’economia medievale per approvvigionarsi di lini nelle Fiandre, di sete e di spezie in Oriente.
La via dei mercanti s’intreccia con il cammino penitenziale dei pellegrini in Terrasanta e con la marcia superba e marziale dei Crociati alla difesa del Santo Sepolcro.
Cavalieri erranti alla ricerca di un ideale che riscatti nel segno della santa croce dalle scorie del peccato di Adamo e dalla subalternità di una condizione fortemente strutturata nell’ordine feudale,
pellegrini in armi alla volta della Terra Santa, gli esponenti dei casati più autorevoli intraprendono le loro imprese in terra d’ Oltremare seguendo una sorta di peregrinatio paenitentialis che è ad un tempo testimonianza di fede ed affermazione di potere, dal momento che intorno alle figure eroiche
degli avi alle Crociate coaguleranno in seguito i più ambiti titoli della nobiltà di antica origine.
L’impresa delle Crociate contribuirà sensibilmente a segnare il passaggio dall’alto al basso medioevo, come sostiene Franco Cardini: “balzarono in primo piano, nelle nostre città popolose che già cominciavano a darsi autonome magistrature e ad avvertire il bisogno di una nuova più ampia
cerchia di mura, gli avventurieri, gli agitatori politici e religiosi, i condottieri (…) di origine feudale che solo nella città trovavano spazio per realizzarsi e seguaci per imporsi”1


Ciò accade ancora al tempo di Rodolfo II per Camerino ed i suoi abitanti, la cui storia tradizionalmente s’inscrive all’interno dei contrasti fra il Papato e l’Impero, ed è scenario dell’attività di riforma spirituale promossa con rigore dai movimenti religiosi fioriti dal ceppo francescano.
La società borghese che si afferma sulla scena del tardo medioevo, trova dei capisaldi nell’attività giuridica e politica dei Podestà, contribuisce con il fervore delle sue imprese all’incremento economico della città, si dota di norme imprescindibili, atte a regolare la vita comune secondo le
esigenze specifiche registrate dagli Statuti.
Nel 1248, Camerino si unisce nella Lega guelfa ai comuni di Cingoli, Matelica, Montecchio, Monte Milone, San Ginesio, Tolentino.
Nel 1255, si ribella al Rettore Pontificio Rolando, richiamato a Roma e sostituito da Annibaldo di Trasmondo.
Pur nell’incertezza politica dei tempi, Camerino gode di una condizione di benessere e di sviluppo, affiancando alla tradizionale economia fondiaria una fiorente attività di produzione e di mercato, tanto da rivestire grazie ai suoi signori un ruolo di prim’ordine nello scenario della storia d’Italia fra
XIV e XV secolo.
Nel corso del Trecento, mentre Roberto d’Angiò coltiva invano le sue ambizioni egemoniche, destinate a fallire per lo strapotere dei Baroni, lo Stato Pontificio è impegnato nel determinato progetto di restaurazione del potere centrale messo in atto dal cardinale Egidio Albornoz.
Le Constitutiones Sanctae Matris Ecclesiae pubblicate nel 1357 dall’Albornoz annovera Camerino fra le civitates maiores, accanto ad Ancona, Fermo, Ascoli, Urbino 2.
La contemporanea Descriptio Marchiae specifica che il territorio di Camerino constava di 132
plebes, castra e villae, vale a dire villaggi rurali, fortificazioni, pievi.

Rodolfo II Varano è capitano generale dell’esercito pontificio, schierandosi poi con Firenze al tempo della “guerra degli otto santi” dopo essere entrato in contrasto con il cardinallegato, reso sospettoso dal suo crescente prestigio.
La presenza del signore di Camerino, in veste di baiulo, a Roma in occasione del ritorno di papa Gregorio IX da Avignone ha il valore di un gesto simbolico di lealtà e, insieme, di un’investitura di poteri.
Con sagacia ed equilibrio, la politica varanesca dei decenni successivi intesse rapporti con lo stato visconteo e, successivamente, con gli Sforza.
Gradualmente, la signoria evolve verso le forme autocratiche, ma illuminate, del principato, raggiungendo il massimo splendore sotto Giulio Cesare Varano nella seconda metà del Quattrocento, espandendosi fino al mare ed assumendo la dignità di Ducato con Giovanni Maria,
protagonista della ricostituzione dello stato dopo la dominazione dei Borgia.
La dinastia dei Varano viene concordemente legata dagli storici agli eventi che vedono il Comune Guelfo di Camerino impegnato a contrastare, per larga parte del XIII secolo, le mire espansionistiche del Partito Ghibellino: dopo l’ assedio e la capitolazione del 12 agosto 1259, quando i sostenitori del casato svevo guidati da Princivalle da Oria riuscirono ad irrompere dalla
contrada che assunse, fin da allora, il toponimo di Morrotto, la fazione guelfa dell’aristocrazia locale fu costretta all’esilio.
Quando, tre anni più tardi, i fuoriusciti rientrarono, fu naturale per loro aggregarsi intorno alla figura prestigiosa ed autorevole di Gentile da Varano, che si distinse nel bene operare per il ripristino delle
libertà comunali, rafforzando del pari il potere del suo lignaggio, che già aveva dato prova a Camerino delle valide capacità di amministratori e di uomini d’arme.
Ciò che genera invece, all’interno della storiografia locale, la più ampia divergenza d’opinione è l’origine del casato, a cui vengono attribuite di volta in volta ascendenze autoctone – fino a protendere le radici della genealogia ai tempi dell’impero romano – o straniere.
Camillo Lilii fa coincidere con la seconda parte del suo fondamentale studio “Dell’ historia di Camerino” con l’avvio della sovranità di Gentile Varano, “di cui si accennano la discendenza; le cariche; & il Valore: Varani di Francia, & d’Inghilterra”.
A questa prima annotazione segue il “Discorso, & opinione dell’Autore intorno alla Genealogia della famiglia Varana di Camerino”.
Il Lilii ipotizza che volutamente Gentile Varano abbia taciuto sulle origini anglosassoni della sua stirpe, per accattivarsi le simpatie dei suoi più recenti concittadini, accogliendo di buon grado l’erronea identificazione dei suoi avi con “il nome di quel Corrado, che s’affaticò nel racquistare le
reliquie di S. Venanzo (…), con quello di Berardo figliuolo di Gentile impresso ne’ sigilli della cassetta dell’istesse reliquie”. Ciò determinò l’equivoco della discendenza autoctona, rafforzata dal legame con il santo del luogo, “abbracciato per avventura studiosamente per eccitare la benevolenza de’ Camerinesi verso i Varani”.
Passate in rassegna e confutate le più varie e suggestive opinioni, fra le quali spicca il distico ariostesco

“Il capo è il Re de’ Bulgheri Varano
Animoso, prudente, e prò Guerriero”,

il Lilii lega le origini del casato varanesco all’Inghilterra ed alla Francia, gettando un ponte attraverso la Normandia, ed argomentando che “Fù Gentile Capitano generale delle genti d’Odoardo Quinto Rè d’Inghilterra. Martino IV lo creò Conte di Campagna: Dimostrazioni che additano per
originaria la sua schiatta, ò dalla Francia, ò dalla gran Bretagna”. Nel territorio di entrambi gli Stati, si trovano “due contee Varane”, per l’esattezza la Varenne in Francia e la Warren in Inghilterra.
L’acribia dell’erudito arriva fino al punto di confrontare le insegne araldiche: “concordano l’armi, tuttoche alterate in parte dopo tanti secoli. Quelle però d’Inghilterra usò da principio un campo di scacchi d’oro, e torchino, e poscia il Vaio, ò come dicono i Cappelletti torchini, e d’argento, e li ritengono hoggi i Duchi di Surrei, e di Varenna, ò Varano ne’ bastoni. Quando però questa ò come facesse passaggio nell’Inghilterra è facile à rinvenirlo (…) Nè per queste considerationi io ardisco
d’affermare, che di là derivassero i nostri Varani, mà sì bene c’havessero un ceppo commune con quelli d’Inghiltera; come però, e quando passassero dalla Francia nell’Italia, Io non posso discorrelo per hora, che per congetture”.
Pur astenendosi dal formulare ipotesi che egli stesso definisce come “divinazioni”, il Lilii si dichiara convinto che “i Varani furono indubitatamente Francesi Normanni, e lo deduco dall’arma,
da i loro nomi, e dai luoghi che signoreggiarono, e per ultimo dalle loro operationi” 3 .
Il Feliciangeli attribuisce a Gentile da Varano, capitano del popolo, un ruolo di prim’ordine nella restituzione del Comune di Camerino alla parte guelfa nel settembre 1262: “dai pingui colli della Marca e dalle terre del medio Chienti era venuto Gentile da Varano i cui discendenti ne fecero
suonare il nome per la Marca e per l’Italia: dai monti verdi dell’alto Potenza, dalle pendici boscose donde comincia l’ Umbria, da genti umbre abitate, veniva il rude signore di forte rocca, circondata di selve, a recare il soccorso delle sue armi e del suo valore agli esuli concittadini per il riconquisto della patria” 4 .
Con il rigore dello storico di vaglia, Bernardino Feliciangeli individua i nodi della questione aperta dalla trasformazione dei comuni in signorie, solo apparentemente legata a fattori che si evidenziano rispetto ad altri di lungo periodo, legati a soggetti sociali dotati di minore visibilità.
Così nota che tale difficoltà “s’incontra anche per le origini della signoria varanese: le quali da una fonte più tarda furono riferite a Gentile I Varano, quasi i Camerinesi, riguardandolo quale salvatore per l’aiuto avutone nel ricupero della patria, a lui ne avessero confidato il governo. Che egli per i
servizi resi e per il valore mostrato fosse tenuto dal popolo in grande considerazione si può arguire con fondamento dall’ufficio di capitano del popolo e di podestà a lui ripetutamente conferito; ma, se per signoria vogliamo intendere il predominio incontrastato e progressivo dei capi di una famiglia, riconosciuto per consuetudine, nel governo di un comune, ci pare che esso non si possa attribuire ai Varano (…) nè nel sec. XIII nè nei primi due decenni del secolo seguente”.
Alla luce di queste affermazioni, le singole personalità dei Varano che si alternano al comando di Camerino risultano accresciute nella loro statura politica, dal momento che riescono ad esprimere secolarmente abilità militari e politiche tali da venire riconosciuti come gli esponenti di spicco del partito Guelfo nella Marca, fino a che con Giovanni e Gentile, ormai intorno alla metà del Trecento, la supremazia civile incarnata da un secolo viene sancita nella Relazione sullo stato della Marca inviata nel 1341 a papa Giovanni XXII .

Patrizio Savini, seguendo il Lilii, argomenta altrimenti:“Era Gentile Varano d’illustre famiglia, originaria forse d’Inghilterra, diramatasi inNormandia, allorchè gl’Inglesi conquistarono quella provincia, ed estesa poi in Italia nell’invasione fatta dai Normanni nel secolo XI come rilevasi da
molte memorie: quivi si stabilì col possesso di molte terre fra le quali contavasi Orbisaglia, le Ripe, la Rancia, Monte S. Martino ed altre. Passò poi in Camerino l’anno 1252, allorchè Pietro e Rosso Varano furono aggregati alla cittadinanza e nobiltà di questa città.
Gentile di Ridolfo Varano militò sotto le insegne di Odoardo V re d’Inghilterra, ed impiegato ne’ servigi militari dal Pontefice Alessandro IV passò dalla Marca a varie conquiste nell’Umbria e quindi al regno di Napoli. Di là tornato tornato a Roma seguendo l’accennato ordine del Pontefice
ottenne dal re Odoardo 800 cavalli, coi quali recossi a dar soccorso ai suoi cittadini.
Con giubilo inesplicabile venne da questi accolto (…) ed in tal guisa tornò intieramente in potere de’ Camerinesi il sito e gli avanzi della loro città.
E’ facile immaginarsi quanto grande fosse il desiderio di questi di vedere risorgere la loro patria” 5 .

La suggestiva ipotesi di un’origine anglofrancese deve durare per secoli, se ancora nel XVIII secolo s’intreccia una corrispondenza epistolare fra la famiglia Varagne-Gardouche di Linguadoca ed il letterato Alfonso Varano 6 .
Al tempo della corte di Giulio Cesare, gli umanisti che frequentano il palazzo abbozzano una genealogia che affonda le radici all’epoca del tramonto dell’impero di Roma: a Commodo e Berardo, vissuti all’incirca nel IV secolo d.C., seguono a distanza di mezzo millennio personaggi che hanno lasciato una labile traccia documentaria: Ottifredus, o Offredus (880), Grimaldus I° (905-944), Petro (935) con i figli Ildebrandus (965), Montanellus (980), Munaldus (969), Trasmundus (970), Acto, annoverato come filius Petri Comes. La generazione successiva vede Albrico (992), Johannes (984), Carbone I° (1055), Bernardus (990), Grimaldo II° (1075), prosegue con Rusticus “Tiniosus” (1108), Carbone II°, Census con i figli Gualtierus e Tebaldus, Alberto, padre di Grimaldus III° (1097), da cui Petrus (1080-1132), padre di Gotius (1164), Alberto (1164), Dominico (1151-1164), Grimaldus (1176), Morico (1209). Da Dominico nasce Adamo, padre del primo
Rodolfo.
D’altro canto, all’origine romana si presta la paretimologia Varano da Varius, il gentilizio latino che con il suffisso aggettivale -anus è considerato toponimo di alcuni paesi dell’Italia centrosettentrionale, da Varano Borghi presso Varese a Varano dei Marchesi a Varano de’ Melegari in provincia di Parma, da Varana nel Modenese a Varano nella Marca di Ancona.
Un manoscritto dell’Archivio Storico di casa Varano, intestato

“VARANI IN AGRO PICENO”
(Ex tomo IV genealogicarum Tabularum Henninges. pag. 1316)

da inizio così al lignaggio: “ Bernhardus, et Commodus Varani tempore Philippi Imp. et Sixti II . Papae vixerunt circa annum Christi 258, et ad christianam fidem conversi templum Jovi quondam dicatum S. Mariae virgini consecrarunt, in quod ossa Sancti Venantii martyris reposuerunt.
Varanus venit in Italiam tempore Pipini Regis Franciae, cuius nomine Longobardiam gubernavit, et arcem Varanam edificasse putatur”.
Il documento si fa via via più attendibile, descrivendo le imprese dei Varano a seguire dal capostipite Gentile, di cui si dice: “ Gentilis Varanus vixit circa A. C. 1250; quo Camerini Civitatem Manfredus Rex Siciliae delevit. Ab Alexandro IV Pont. dono accepit Opidum Saxum circa A.C. 1261: Camerinum in Umbriae finibus situm in summitate Montis Apennini, loco fortissimo, et populoso, restauravit, atque in ea urbe cathedralem ecclesiam fundavit, a quo dicto Papa etiam S.Genesium, Tolentinum, Monticulum, Amandolam, Sarnanum, Montem S. Martini, Belfortem, et Gualdum in Umbriam ducare obtinuit. Eiusdem et Eduardi Regis Angliae generalis Capitaneus factus est. Occupavit Montem Sanctum, et Cerretum. A Martino IV Papa comes Campaniae factus est A. C. 1281. Obiit A.C. 1284. regiminis 23. Uxor Aleruza f. Supponis comitis Altini”.
Si segnala, all’interno di questa produzione genealogica di stampo umanistico, l’opera realizzata da Varino Favorino fra il 1515 ed il 1520: benchè i suoi intenti siano palesemente encomiastici e didascalici, al fine di illustrare dottamente le immagini degli antenati affrescate nelle sale del
palazzo del nuovo Duca, pure hanno il merito di radicare ulteriormente il casato dei Varano entro un territorio indissolubilmente legato alle sue sorti secolari.
La dinastia dei Varano costituisce un esempio di prim’ordine utile a comprendere i meccanismi dell’insignorimento, quel fenomeno politico che ebbe luogo esclusivamente nella storia d’Italia e garantì stabilità amministrativa nei centri cittadini che durante l’età comunale avevano sentito l’esigenza di maggiore autonomia rispetto alle entità universalistiche del Papato e dell’Impero ma, pur dotandosi di statuti e di magistrature locali, non erano riusciti a svincolarsi dalla loro autorità nè
erano in grado di difendersi con le sole milizie cittadine.
In un simile contesto, si genera il fenomeno dell’insignorimento, dell’ascesa al potere perseguita non da un singolo individuo, straordinariamente dotato, ma da un casato in grado di diversificare attraverso i suoi esponenti le peculiarità d’intervento di cui la città con il suo contado ha bisogno.
I Varano accumulano, di generazione in generazione, molteplici esperienze utili all’esercizio del potere: se in essi sembrano prevalere i tratti del “principe guerriero”, non di meno sono determinanti le competenze giuridiche ed amministrative, che vengono esercitate attraverso gli incarichi di consiglieri e di podestà sia a Camerino, sia nelle vicine città dell’Umbria e delle Marche.
Alcuni dei Varano assolvono ad importanti incarichi amministrativi in città di maggiore rilevanza politica ed economica, come Perugia, Firenze, Bologna.
Frequentemente, le abilità militari e le competenze giuridiche si assommano, incrementate da una specifica, accurata formazione: è il caso di Rodolfo I, non inferiore al fratello Gentile nell’esercizio delle armi, affermato giureconsulto, tanto da essere richiesto da Pier delle Vigne come docente di diritto civile quando, nel 1224, Federico II fondò l’ Università di Napoli.
Al tramonto dell’età medievale, la corte di Camerino mette in atto i princìpi umanistici espressi da Pier Paolo Vergerio, che indica: “…e specialmente ai principi si conviene l’istruzione nelle cose militari, ché essi debbono conoscere assai bene le arti tutte della pace e della guerra, e saper guidare
gli eserciti e, all’occorrenza, essi medesimi combattere”.
I Varano furono dunque capitani di prim’ordine, esperti di diritto e di economia, letterati e religiosi insigni, ciascuno seguendo la propria inclinazione e la propria indole, senza dimenticare di appartenere ad una stirpe e ad una città.
Quando le vicende storiche misero temporaneamente in ombra la signoria dei Varano, fu proprio l’accrescersi del loro potere la causa prima della crisi: è quanto accadde a Rodolfo II, osteggiato dal Cardinale Albornoz al tempo in cui il Varano combatteva come Capitano generale dell’esercito
guelfo contro i Malatesta di Rimini, gli Ordelaffi di Forlì e Gentile da Mogliano, signore di Fermo.
Nota il Savini, nella sua Storia della città di Camerino, che “parve al Legato, che le glorie di Rodolfo oscurassero le sue” e, artatamente messo in sospetto dal Malatesta, lo fece imprigionare provocandone la sdegnata reazione ed il temporaneo abbandono della causa guelfa.
Ben più gravi furono le circostanze in cui Giulio Cesare Varano perdette lo stato ad opera dei Borgia, benchè nei suoi confronti risulti comunque veritiera la tesi del Machiavelli,secondo cui “uno principe … che abbi una città forte e non si facci odiare, non può essere assaltato; e se pure fussi chi lo assaltassi, se ne partirebbe con vergogna” (Il Principe, X).
Se pure Giulio Cesare e i suoi figli furono uccisi per ordine di Cesare Borgia, l’unico superstite, Giovanni Maria, prudentemente allontanato dallo stato di Camerino, seppe riconquistare il potere con il consenso dei cittadini, consolidandolo attraverso l’istituzione del Ducato.
Quando la politica temporale della Chiesa affermò definitivamente la propria supremazia avocando a sè l’ordinamento politico-istituzionale degli antichi governi signorili, i Varano seppero ben integrarsi nel tessuto complesso delle numerose signorie emiliano-romagnole, consolidando la loro rete di parentele ed offrendo i loro servigi di uomini d’armi e di aministratori agli Estensi, ai Gonzaga, al re di Francia, all’Imperatore d’Austria.

1. F. CARDINI, Studi sulla storia e sull’idea di Crociata, Roma 1993, p. 65.

2. Le civitates et terrae delle Marche sono classificate dall’Albornoz in cinque categorie: le civitates maiores, tra cui è annoverata Camerino, le civitates magnae, le mediocres, le parvae ed infine le minores

3 Cfr. C. LILII, Istoria della città di Camerino, Camerino 1835, Parte Seconda, Libro I, pp. 4-10 sgg. Il Lilii passa inrassegna le vicende che hanno interessato gran parte dell’Italia mediana dai primi secoli del Cristianesimo fino al tempo di Guglielmo II re di Sicilia e mette in relazione i Varano con la potente Abbazia Benedettina di Farfa, quasi prefigurando gli eventi, poichè fin dal secolo scorso l’antica dinastia dei Varano si è radicata a Rieti.

4 B. FELICIANGELI, Di alcune rocche dell’antico Stato di Camerino, in “Atti e memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le provincie delle Marche”, Ancona 1904, p. 40 sgg.

5 Cfr. P. SAVINI, Storia della città di Camerino, Parte seconda Della riedificazione della città e della signoria de’Varani e de’Farnesi, Camerino 1895, pp. 57-58.

6 Presso la Biblioteca Valentiniana a Camerino è consevata sotto la segnatura l’ Histoire genealogique de la maison de Varagne Gardouch, dressée sur les titres originaux conservés dans le tresor des chartes du roi dans les archives du chateau de Gardouch, proveniente dall’Archivio Varano di Ferrara e corredata da alcune lettere, parte della corrispondenza intercorsa durante l’estate del 1765 fra Alfonso Varano e monsieur de Varaigne Gardouche de Belesta

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