Ileana Tozzi – I Varano. I tempi, i luoghi, la storia (7)

Parte VII

Fonte: Storiadelmondo n. 28, 19 luglio 2004
http://www.storiadelmondo.com/28/tozzi.varano7.pdf

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A Rieti

Rieti è, all’inizio dell’Ottocento, una città del Patrimonio di San Pietro la cui quiete è turbata dapprima dalla breve temperie della repubblica Romana (1798-’99), poi dalla seconda invasione francese (1809-1814). Restaurato lo Stato Pontificio, papa Pio VII con il motu proprio datato 6 luglio 1816 eleva la città al rango di Delegazione Apostolica.
La riforma amministrativa dello Stato operata nel 1824 dal suo successore Leone XII riunisce i sei mandamenti di Rieti, Roccasinibalda, Canemorto, Fara Sabina, Magliano e Poggio Mirteto alla Delegazione di Spoleto. La tenace resistenza opposta durante l’assedio delle truppe rivoluzionarie capeggiate dal Generale Sercognani l’8 marzo 1831 meritò a Rieti il riconoscimento di civitas semper fidelis e la reintegrazione come Capoluogo di provincia di terza classe. In questa città Maria Maddalena Varano, amabilmente chiamata in famiglia con il vezzeggiativo di Marietta, va in sposa lontano dalla natia Ferrara, entrando a far parte della nobile, antica famiglia dei Vincenti Mareri.
I Mareri erano discendenti dei conti de’ Marsi, signori del Cicolano, l’antica subregione storica definita dal corso dei fiumi Salto e Turano, abitata in età preromana dalla fiera stirpe degli Equicoli, che aveva assunto una fondamentale importanza strategica nel medioevo, quando si era sedimentata come terra di confine fra il Patrimonio della Chiesa ed il Regno di Napoli.
Intorno alla fine del XII secolo, si data convenzionalmente l’origine del casato da Rainaldo Sinibaldi, che cedette al figlio Filippo tutti i suoi feudi “… in Cicoli Malerium quod est feudum IIII militum, et Vallem Bonam quod est feudum I militis et Corvanimam quod est I militis, et Roccam Alberti quae est I militis, et Radicatam quod est I militis, et Sambucum quod est I militis, et Podium quod est I militis, et Gergentum quod est I militis. Una sunt feuda XI et cum augmento sunt XXII et servientes XXII”, secondo il Catalogo dei Baroni.
Da Filippo Mareri, sposato con Imperatrice dei Baroni di Montana, nacque la prima santa dell’Ordine Francescano, Filippa, fondatrice del monastero di San Pietro de Molito, oggi Borgo San Pietro. Dal diploma d’investitura concesso da Carlo I d’Angiò a Tommaso Mareri sappiamo che nel 1266 il feudo comprendeva i castelli di Mareri, appunto, Girgenti, Vallebona, Rocca di Alberto, Rigatti, Marcetelli, Capradosso, Offeio, Poggio Santa Maria, a cui si aggiungevano le terre di Petrella, Staffoli, Poggio Poponesco, Poggiaviano, Gamagna, Radicaro, Rocca Labrisi e Sambuco, già di pertinenza del fratello Gentile, morto senza eredi.
Legato alla politica angioina, Tommaso combattè valorosamente a Benevento; in seguito, assolse ad incarichi diplomatici per conto di Carlo I. I figli di Tommaso, Giovanni e Filippo Mareri, militarono nell’esercito di Manfredi, combatterono a Tagliacozzo nel 1268 subendo dopo la sconfitta la
spoliazione dei loro beni a favore di Stefano Colonna.
I figli di Giovanni, Tommaso, Filippo, Francesco, Federico, Corrado e Fortebraccio Mareri furono reintegrati nei loro diritti da Carlo II d’Angiò. Nel corso del XIV secolo, il potere dei Mareri andò consolidandosi nelle terre del Cicolano; ottenuto dal re Ladislao il titolo di conte, nel 1418 Niccolò Mareri fu insignito dalla regina Giovanna del grado di capitano.

Gradualmente, dal Cicolano gli impegni militari e politici, gli interessi dei Mareri vennero a gravitare sempre più su Rieti, dove legarono le loro sorti alla famiglia dei Vincenti. Dal casato dei conti Vincenti Mareri derivarono personalità eminenti, quale fu ad esempio il Cardinale Ippolito Antonio (1738-1811), Nunzio Apostolico e Legato di Bologna. Il palazzo avito dei Vincenti Mareri si trovava a Rieti in via di Regno.
Intorno al 1770, il conte Alessandro Vincenti Mareri aveva intrapreso un radicale intervento di ristrutturazione, acquisendo due edifici contigui (casa Aligeri e casa Cerroni) per erigere una nuova dimora, più consona alle esigenze della famiglia. Un grave incidente occorso alle maestranze bloccò a lungo il cantiere; i lavori furono ripresi dal conte Giacinto 1 , che conferì l’incarico di progettazione del palazzo all’architetto Giuseppe Valadier, a cui si deve inoltre l’allestimento della raffinata Cappella gentilizia, detta di Santa Caterina, in Cattedrale.
I lavori furono conclusi entro il terzo decennio del XIX secolo: il 19 luglio 1832, il conte Giacinto potè degnamente ricevere nel nuovo palazzo la visita di Ferdinando II Re di Napoli, giunto a Rieti per ammirare nei dintorni la cascata delle Marmore. In seguito, il palazzo si sarebbe ampliato fino a comprendere l’intero isolato, includendo l’antica casa Cerroni, come attesta un’epigrafe sovrapposta a due più antiche iscrizioni (rispettivamente, del 1535 e del 1739):

QUESTA CASA
DAL CONTE FRANCESCO ULTIMO DEI CERRONI
IL 1 DICEMBRE 1849 ACQUISTAVA
GIACINTO CONTE VINCENTI MARERI
E SULL’ORNATO DELLA PROPRIA CONTIGUA
RINNOVANDOLA NE COMPONEVA
VASTO ED ISOLATO EDIFICIO

Nel 1833, il conte Giacinto raggiunse Ferrara per compiervi la formale promessa di matrimonio nei confronti di donna Maria Maddalena Varano.
Pochi mesi più tardi, l’arrivo della sposa fu festeggiato a Rieti dai più raffinati poeti locali, che fecero a gara nell’onorare “la Egregia Donzella (…) per ingegno e soavità di costumi commendatissima” con i loro epitalami, raccolti in un elegante volumetto a cura di Giambattista de Santis. Tra gli autori dei versi, va segnalato l’erudito poeta Angelo Maria Ricci 2 , che dedica un sonetto allo Sposo traendo ispirazione da un “Fermino di marmo per le carte, ricoperto di vago meandro, opera dell’egregia Sposa” e un’ode, prendendo spunto da un “Quadretto di Ricamo in sembianza di miniatura rappresentante un Paesetto con bosco, pianure, e colline, un Cacciatore, che, lasciati i cani, nell’atto di saltare una stanga traversa, appunta al suolo il fucile, donde parte inavvedutamente il colpo. Opera dell’egregia Sposa”.
L’erudito poeta non si lascia sfuggire l’occasione, cantando in un’Odicina anacreontica le virtù muliebri di Maria Maddalena Varano, di celebrare la memoria dell’avo famoso in Arcadia. Non da meno vollero essere gli altri poeti reatini nell’evocare i fasti ed i vanti letterari di Casa Varano, ingegnandosi a trovare spunti originali per lodare “gli sposi, non degeneri nipoti di Ippolito Vincenti

1 Il conte Giacinto, “nato dei baroni Sardi di Rivisondoli … ed erede del conte Alessandro Vincenti Mareri, … nato all’Aquila il 25 luglio 1793 e morto a Rieti il 30 novembre 1878, (fu) quattro volte Gonfaloniere della città”, nonchè fondatore e presidente della locale Cassa di Risparmio.
2 Nativo di Mopolino, presso l’Aquila, Angelo Maria Ricci aderì giovanissimo all’Accademia dell’Arcadia, con il nome di Filidemo Liciense, pubblicando a soli sedici anni il suo primo componimento poetico in onore del duca di Cantalupo.
A venti anni compose il poemetto latino De gemmis, a cui fece seguito nel 1802 la Cosmogonia Mosaica, poema didascalico inteso a confutare le teorie illuministiche. Durante l’età napoleonica, fu a Napoli, come bibliotecario e precettore dei figli di Gioacchino Murat, che gli affidò in seguito la cattedra di eloquenza presso la regia Università. Dopo il Congresso di Vienna, la sua vita si svolse fra Mopolino e Rieti, dove si dedicò alle cure familiari ed alle lettere, pubblicando ancora il trattato Della volgare eloquenza, i poemi epici Italiade e San Benedetto, i componimenti didascalici
Georgica de’fiori, l’Orologio di Flora, le Conchiglie. Morì nel palazzo gentilizio di piazza del Leone a Rieti nel 1850.

Cardinale e di Alfonso Varano Poeta”. In particolare il cavalier Nicola Severi volle cimentarsi in una Canzone libera, nella quale “cantò … la gioja di Alfonso Varano agli Elisi in udire da Loreto Mattei la novella del felice connubio della sua Pronipote col Sig. Conte Vincenti”: il poeta ferrarese e l’erudito reatino, autore di una fra le prime versioni italiane dei Salmi di David e di un’edizione espurgata delle odi oraziane, benedicono dall’alto dei Campi Elisi le nozze, quasi prefigurando che l’antica prosapia della sposa possa rinnovarsi proprio a Rieti.
Così il cavalier Severi trova sulle corde della sua cetra di poeta d’occasione gli accenti solenni di una duplice celebrazione encomiastica, e persino il tipografo Salvatore Trinchi si univa agli eruditi locali nel celebrare le nozze fra il conte reatino, “nobilissimo e virtuosissimo” e la giovane nobildonna ferrarese, “per senno modestia e cortesia decoro del sesso”.
Con questi fecondi auspici, s’inaugurava la vita di sposa per Maria Maddalena Varano e s’innestava a Rieti il suo antico casato.
Accolta affettuosamente dai familiari e dai numerosi amici, Maria Maddalena Varano seppe prendere parte attiva alla vita della piccola, tranquilla cittadina dello Stato Pontificio che tentava di emergere dal suo secolare torpore: se il conte Giacinto, gonfaloniere della città 3 fu benemerito promotore di iniziative di rilievo, quali la costruzione del nuovo teatro, per la cui realizzazione donò al Comune l’area antistante il palazzo di via di Regno, sacrificando le sue scuderie 4 , nonchè la fondazione della Cassa di Risparmio (1846), la contessa ferrarese sostenne anche finanziariamente tali imprese.
Insieme con la marchesa M. Prudenza Crispolti Patrizi e con la baronessa Isabella Capelletti Marefoschi, la contessa Maria Maddalena Vincenti Mareri Varano è presente alla prima assemblea generale dei soci dell’istituto di credito ed aderisce all’iniziativa con un versamento infruttifero di dieci scudi: il primo rendiconto di bilancio dal 29 marzo 1846, giorno di inaugurazione della banca e di apertura degli sportelli, al 31 dicembre dello stesso anno, reca in calce la scritta:“Il Mobilio ed il locale è stato gratuitamente somministrato dal sig. Presidente Conte Giacinto Vincenti Mareri, nel proprio Palazzo” 5 .
L’ultimo dei Varano di Ferrara fu dunque don Rodolfo (1810-1882), Sindaco della città, creato Senatore, fra i primi del Regno d’Italia, il 18 marzo 1860, prestò giuramento il 2 aprile di quello stesso anno 6 . Nel 1861, perorò la causa dei rappresentati della città di Camerino, preoccupati per le
sorti del loro antico Ateneo, ottenendo che l’Università Pontificia venisse conservata e dichiarata Libera Università. Rodolfo Varano morì, celibe e senza figli, a settantadue anni di età.

L’Archivio Storico di Casa Carano conserva uno schema che registra fedelmente la composizione del “Trasporto funebre della salma del Senatore Varano”, che fu onorato da un apparato mesto e solenne, quanto la dignità ed il rango del defunto imponevano: dopo due schiere di pompieri e di militi, lo stendardo parrocchiale apriva la sfilata delle Confraternite e dei rappresentanti degli Ordini Religiosi, Cappuccini, Minori Osservanti, Clero secolare. Seguiva la Banda musicale ed un gruppo di coristi. Il Clero parrocchiale, affiancato dagli stendardi e dai confratelli con le torce accese, precedeva il carro funebre, affiancato a destra dal Presidente del Tribunale, dal Sindaco, dal Prefetto, da un Senatore del Regno, a sinistra dal Procuratore del Re, dal Comandante del Presidio Militare, dal Presidente del Consiglio Provinciale, da un Deputato. Facevano ala sedici membri delle Confraternite, sedici domestici di Casa Varano, le truppe municipali. Chiudevano il corteo i rappresentanti degli Enti e delle varie Associazioni, i domestici, i coloni della Casa, la truppa.
Il Senatore Varano aveva designato come erede universale il pronipote Alfonso dei conti Vincenti Mareri, “Patrizio Reatino e Nobile Romano, figlio secondogenito del conte Ippolito e della contessa Giulia Cenci Bolognetti dei principi di Vicovaro ” 7 . Alfonso, allora decenne, era nipote di donna
Maria Maddalena Varano, sorella di don Rodolfo. Dal matrimonio con il conte Giacinto Vincenti Mareri 8 , donna Maria Maddalena Varano aveva dato alla luce otto figli: Rosa, morta in età giovanile, Giulia, andata in sposa ad uno dei baroni Sardi di Sulmona suoi parenti nel 1863 e morta solo pochi anni più tardi (+ 1869), Lavinia, sposata al conte Anastasio Castelli di Terni, Anna Maria, chiamata Annetta, morta in età giovanile il 23 marzo 1848, Ippolito, Alfonso, morto ventiduenne il 27 febbraio 1864, Alessandro, morto come risulta dal Libro dei Defunti della Parrocchia di San Marcello a Roma “il giorno 3 ottobre 1860 nell’Albergo Cesari in via di Pietra n° 60” a ventiquattro anni, Venanzio, morto “li 16 dicembre 1874 di anni trenta, possidente a Rieti, marito di Lucrezia Vincentini”, secondo l’arida prosa dell’ufficiale di Stato Civile del comune di Rieti 9 .
Il figlio Ippolito, nato a Rieti il 5 marzo 1838, sposò la contessa Giulia Cenci Bolognetti (1845-1924) dei principi di Vicovaro, figlia del principe Alessandro e della marchesa Marianna Brancadoro. Da Ippolito nacquero Alessandro, “destinato, quale primogenito, a proseguire la famiglia Vincenti Mareri”, ed Alfonso, nominato dal prozio Rodolfo suo erede universale, che “con Decreto Reale del 30 maggio 1884 assunse per sè e per i suoi discendenti diretti il cognome Varano”. Le volontà testamentarie espresse dal senatore Rodolfo Varano 10 avevano richiesto un riconoscimento formale da parte dello Stato: per dare pieno effetto a tali volontà e per avere una chiarificazione sul corretto iter burocratico da intraprendere, nel marzo 1883 la contessa Giulia Cenci Bolognetti, vedova di Ippolito Vincenti Mareri, si rivolgeva con una missiva al parlamentare reatino Luigi Solidati-Tiburzi.
Il Decreto Reale non tardò ad essere emanato. Alfonso Varano entrò dunque nel 1895 nel Corpo della Guardia Nobile Pontificia, presso il quale prestò servizio attivo fino al 1930, avendo raggiunto il grado di tenente generale. Fu insignito della Commenda dell’Ordine Piano e della Commenda dell’Ordine di San Silvestro. Il 30 maggio 1946, veniva creato Duca con Motu proprio dal Re d’Italia Umberto II di Savoia: il decreto, firmato da Sua Maestà il Re, era controfirmato dall’On. Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio dei Ministri: il titolo conferito era dichiarato trasmissibile ai discendenti legittimi e naturali, maschi da maschi, in linea e per ordine di primogenitura 11 .
Il titolo ducale tornava così ad essere riconosciuto “ ad una dinastia che ne era stata insignita nelle persone di Giovanni Maria, Giulia ed Ercole”, che aveva rivestito una parte attiva nella storia d’Italia rappresentando un segno di continuità di particolare rilevanza nel momento in cui la pagina della monarchia in Italia stava per chiudersi 12 .
Il conte Alfonso Vincenti Mareri , marchese Varano aveva preso in moglie Maria Napoleoni, figlia del cav. Marco, riguardo alla quale un certificato rilasciato dal sindaco di Rieti il 28 Ottobre 1894 attestava “che la Signorina,… di anni 22 nata e domiciliata a Rieti appartiene ad una delle più cospicue e rispettabili famiglie della città, ed è di costumi illibatissimi”.
La solidità patrimoniale della famiglia della sposa è confermata dal documento di costituzione di dote paterna, redatto il 6 febbraio 1895 dal notaio Pietro Michaeli, con il quale il cavalier Napoleoni “secondo le vigenti leggi e secondo il rito della Chiesa Cattolica, e per addimostrare il suo pieno piacimento e la sua piena soddisfazione per tale matrimonio costituisce e assegna alla … figlia Maria per dote paterna la somma in capitale di £. 50 mila da pagarsi un’anno dopo ch’esso costituente andrà in possesso dell’eredità paterna o in denaro o in fondi rustici ed urbani … e durante questo tempo … si obbliga di corrispondervi a titolo d’interesse la somma di £. 2500 annue al di lei futuro sposo conte Alfonso Vincenti Mareri marchese Varano al suo domicilio in Rieti nel suo Palazzo di abitazione in quattro rate trimestrali annue postecipatamente di £. 625 ciascuna da decorrere dal giorno dell’effettuato matrimonio. E su questo annuo fruttato la sposa Sig.a Maria Napoleoni a titolo di spillatico per sue minute e personali spese si riserva, e lo sposo anzidetto vi consente la somma di lire 300, la quale dovrà prelevarsi in ragione di £. 75 a di lei favore in ciascuna delle rate trimestrali di pagamento”.
La dinastia si rinnovò dunque nella persona del V Duca, Don Rodolfo (1895-1975), figlio primogenito nato dalle nozze di don Alfonso con la nobildonna reatina Maria Napoleoni 13 .
Il fratello Venanzio, pubblicista e poeta di buona fama, era morto il 16 settembre 1940, prima che il titolo ducale venisse restituito al casato.
Venanzio della Vergiliana (1897-1940), poeta e saggista, giornalista e critico d’arte, seppe coltivare con rigore metodologico unito ad originali tratti introspettivi i molteplici interessi culturali che convergono in una vasta produzione letteraria, solo parzialmente edita 14 .

Sono svariati i generi a cui Venanzio Varano si accostò, spinto dalla freschezza di un entusiastico ardore di conoscenza, sostenuto da una salda cultura umanistica: il suo spontaneo sentimento vitalistico, corroborato dalle esperienze estetizzanti compiute in tensione fra decadentismo e crepuscolarismo, trovò facile espressione in una lirica felicemente modulata, l’esigenza di un rigoroso approccio ai più vari ambiti di conoscenza si manifestò appieno nella saggistica, caratterizzata nelle opere a stampa e negli inediti 15 da un approccio metodologico squisitamente originale.

Tale approccio è già in nuce nel primo scritto, La Valle Santa – Rieti, solo formalmente modellato sulla scorta del Libro del Pellegrino di Johannes Joergensen.
Il giovane Venanzio conobbe non ancora ventenne l’illustre scrittore danese, fervente cattolico, insigne cultore di studi francescani, stabilitosi ad Assisi nel 1913. La lezione di stile che il giovane scrittore ricevette dallo Joergensen si manifestò in un afflato mistico con la natura, opera mirabile della creazione di Dio, spiritualmente speculare rispetto al contemporaneo panismo dannunziano, si espresse attraverso un sincero anelito verso la fratellanza e l’amore universale, seguendo l’imperativo “oltre andare” della Laus Italiae.
Malgrado l’inesperienza, Venanzio Varano scoprì e sperimentò una propria, originale cifra ricorrendo nella descrizione della città e della valle reatina a strumenti interpretativi ed a mezzi narrativi mutuati da discipline diverse rivelandosi puntuale ed attento nell’analisi storica e filologica dei documenti, esteta raffinato nella rappresentazione dei paesaggi e dei monumenti, definiti con la perizia del critico d’arte, osservatore divertito e partecipe delle tradizioni popolari, frutto di una cultura subalterna espressa dalle anonime generazioni di contadini che hanno popolato la fertile pianura, vivendo di una religiosità semplice e devota, ammirata ed intimamente condivisa dallo stesso scrittore.
Dopo essersi misurato con successo nella descrizione di un mondo conosciuto, qualche anno più tardi Venanzio Varano tornò a pubblicare un saggio costruito ricorrendo ai medesimi criteri metodologici e narrativi.
L’argomento fu dato da un reportage di viaggio in Scandinavia, parte
integrante di un più ambizioso progetto destinato purtoppo a non realizzarsi compiutamente.
Dopo aver compiuto, fra il 1928 ed il 1929, significative esperienze di viaggio nei paesi del Nord dell’Europa, al di fuori dei convenzionali circuiti turistici, Venanzio Varano affidò alla pagina del saggio Svezia e Svedesi il risultato delle sue singolari osservazioni.
Sotto il profilo formale, la prosa di Venanzio Varano può accostarsi alle descrizioni di luoghi e viaggi dei più famosi giornalisti e narratori suoi contemporanei, da Orio Vergani a Virginio Lilli.
Resta però unica nel suo genere la volontà interpretativa sinceramente appassionata, ammirata e curiosa, che pervade la pagina di un vago stupore. L’afflato lirico tipico della colta prosa di Venanzio Varano si stempera nelle fresche descrizioni paesaggistiche, tratteggiate come bozzetti dai colori limpidi ed armoniosi, si arricchisce di notazioni intense quando l’attenzione dello scrittore viene richiamata a notazioni dal taglio a volte vagamente antropologico, sempre sostenute dal sentimento di fratellanza universale nutrito da una profondo, sincero sentimento religioso.
Il tratto distintivo delle liriche si colloca, invece, fra il richiamo al decadentismo pascoliano verso una graduale adesione al crepuscolarismo: le tappe di maturazione formale e stilistica si susseguono serrate attraverso un progressivo scardinamento delle strutture tradizionali del verso, mentre del pari pensiero e sentimento consolidano una concezione della vita individuale e della storia collettiva orientata ai valori della redenzione e della rivelazione di fede.
Così, a partire dalle premesse irrazionalistiche delle prime prove giovanili, attraverso i vagheggiamenti sentimentali dei “Sogni”, il poeta giunse a distillare componenti intimistiche di squisita fattura e di straordinaria intensità lirica. Venanzio Varano modellò la sua poesia sull’esempio dei grandi autori studiati con passione sincera e con profondo amore: non imitò mai il loro stile, sperimentando piuttosto una propria cifra stilistica, mettendo a frutto la loro alta lezione.
Così, nei versi delle “Canzoni a ballo” si rincorrono gli echi della poesia del Poliziano e del Boiardo, nata per allietare le corti del Rinascimento, lasciando però trasparire in filigrana una visione della vita non edonistica nè convenzionale. La limpida leggiadria della descrizione, che rammenta la delicata perfezione di una preziosa miniatura, è però appena sfiorata da un brivido di mestizia: la condizione stessa del diletto, inteso come soddisfacimento di un desiderio di quiete, di introspezione, di meditazione, appare infatti determinata dalla solitudine. Il linguaggio raffinatamente letterario, impreziosito da forme auliche o da arcaismi, tende ad accentuare la musicalità della versificazione.
Altrove, i richiami fonico-timbrici tessono fitte trame sonore attraverso il rinvio analogico, la metonimia la metafora, l’anastrofe. La struttura lirica si fa sempre più complessa, nel ricorso a versi liberi ed a rime sciolte che accentuano il valore evocativo della sinestesia.
L’enjambement, la concatenazione del verso nell’armonico fluire dei concetti e dei contenuti, accentua il ritmo suggerendo l’urgere dei sentimenti, il sovrapporsi delle emozioni amplificate ed esaltate dalle percezioni visive. La figura del poeta decadente consente di riconoscere a prima vista nell’opera letteraria di Venanzio Varano i tratti salienti della letteratura europea fra gli ultimi decenni del XIX secolo ed i primi del XX: la potenzialità creativa del nostro poeta si assolutizza nella dimensione percettiva, la sua sensibilità raffinata, sottratta alle convenzioni, coltivata con cura, diventa strumento di conoscenza e comprensione del mondo, della natura e degli uomini.
Venanzio Varano compì fra il 1928 ed il 1930 numerosi viaggi all’estero, privilegiando fra le sue mete la Svizzera e la Germania, tappe significative verso la Danimarca, la Norvegia, la Svezia.
Appassionato cultore delle lingue e delle testimonianze letterarie d’Oltralpe, collaborò con Giovanni Papini alla traduzione in italiano di alcuni testi di Johannes Joergensen e coltivò l’ambizioso progetto di curare la pubblicazione del corpus delle opere di Kierkegaard per conto della casa editrice Morcelliana.

La cultura scandinava attrasse singolarmente il giovane intellettuale, affascinato dagli spazi incontaminati, dalle luminosità evanescenti, segnati dalle tracce di un passato che ha solo pochi punti di contatto con la nostra storia.
Maturò dunque l’idea di tracciare in un’opera complessiva la storia della letteratura scandinava, innovando radicalmente la chiave di lettura critica e la metodologia.
Anticipando di qualche decennio il concetto di “geografia della letteratura”, Venanzio Varano stabilì nel saggio intitolato “Anime del Nord” le coordinate del tempo e dello spazio entro cui affonda le proprie radici la poetica di ogni singolo autore presentato, da Sigrid Undset a Sophus Claussen, da Werner von Heidenstam a Siegried Siwertz, da Erik Axel Karlfeldt ad Hans Hartvig Seedorf. Ad un avvio lieve, suadentemente descrittivo, fa seguito una sistematica presentazione del personaggio lasciando che i tratti della personalità letteraria traspaiano dai contesti della quotidianità, sedimentandosi nelle opere che Venanzio Varano dimostra di saper vagliare con sicura e competente cognizione critica.

Il risultato è straordinariamente efficace, brillante nello stile, originale nell’approccio metodologico.
Con discrezione Venanzio Varano introduce il lettore nella casa e nella vita di un uomo, attento a cogliere i dettagli delle cose che meglio parlano di lui e ne rivelano l’indole più autentica e sincera.
A questo approccio colloquiale e pacato segue la presentazione della personalità letteraria, ricondotta nei termini di una biografia ufficiale, ma non più riducibile ad una dimensione piatta, accademica o manualistica.
L’originalità dell’approccio metodologico costituisce senza dubbio la cifra saliente delle opere saggistiche di Venanzio Varano: egli seppe avvalersi infatti di una salda formazione in campo filologico, suffragata da una raffinata sensibilità e sorretta da una visione complessiva del mondo e delle cose radicata in una fede sincera, che fa da filtro per l’ approccio con gli aspetti più disparati del reale, che tutti incuriosiscono, coinvolgono, interessano l’uomo, l’intellettuale, il poeta.
Anche quando le vicissitudini e la malattia degli ultimi anni di vita lo allontanarono dall’esercizio della scrittura, quanto resta di abbozzato ed inespresso vale a testimoniare l’acume del suo ingegno, la squisita vena poetica, che rendono Venanzio della Vergiliana degno epigono dei letterati di Casa Varano.
Il titolo ducale dell’antico casato si rinnovò dunque nel corso del XX secolo dapprima con Rodolfo, più tardi con Piergentile Varano. Compiuti gli studi presso il Collegio di Mondragone a Frascati, poi alla Sapienza di Roma, Rodolfo Varano fu Ufficiale di Artiglieria durante la prima Guerra Mondiale; nel 1920, entrò a far parte del Corpo della Guardia Nobile Pontificia con il grado di tenente, sotto il pontificato di Papa Benedetto XV. Lasciò il servizio attivo nel 1956, con il grado di tenente generale, “dopo aver servito sotto tre Pontefici ed aver fatto funzione di Comandante del Corpo essendo rimasta vacante tale carica con la morte del Principe Don Francesco Chigi della Rovere”. Fu insignito del Cavalierato dell’Ordine Piano, Commendatore di San Gregorio e Commendatore dell’Ordine Piano.
Fu dapprima Consigliere di Amministrazione, poi Presidente del consorzio di beni terrieri ed immobiliari del Condominio Bentivoglio, nelle provincie di Rovigo e Ferrara. Dal matrimonio con la contessa Maria Maddalena Agostini, Venerosi, Della Seta, Fantini, Caetani, Bocca, di Strido, nacque il Duca don Piergentile, sesto della dinastia dei Varano.
Al duca Rodolfo Varano si deve riconoscere il merito di aver intrapreso la difficile ricostituzione dell’archivio familiare, più volte disperso nel corso dei secoli. La prima, forse più grave perdita è legata alla breve, cruenta dominazione borgiana ,a cavaliere fra XV e XVI secolo, che procurò inoltre la spoliazione della ricca biblioteca di Giulio Cesare Varano; dopo la riconquista dello stato da parte di Giovanni Maria, l’archivio seguì la duchessa Giulia ad Urbino e da qui fu più tardi devoluto a Firenze.

La linea ferrarese, originatasi dalle nozze di Rodolfo di Piergentile (+1464) con Camilla d’Este, costituì un proprio archivio che, nel corso del XVIII secolo, fu arricchito di documenti del Ducato grazie all’assidua opera di ricerca intrapresa dal poeta Alfonso, esperto di araldica e diplomatica, fu appassionato cultore delle memorie familiari, così come dimostra la sua fitta corrispondenza con lo storico Annibale Olivieri da Pesaro, a cui dimostrava gratitudine per l’aiuto offertogli nella ricerca di testimonianze varanesche scrivendo: “con grandissima cura e desiderio ricevo ora le notizie antiche della storia di mia famiglia divenute assai rare per una funesta combinazione di incidenti contrari” (lettera del 1 agosto 1767).
L’archivio ricomposto da Alfonso fu custodito dal nipote Rodolfo, figlio di Venanzio Maria, e da questi trasmesso ai suoi eredi fino al 1882, quando la morte del Senatore Rodolfo pose fine alla discendenza diretta. Egli aveva nominato erede universale il pronipote Alfonso Vincenti Mareri, con l’obbligo di assumere il cognome Varano.
Benchè il curatore testamentario, avvocato Ottorino Venturini, provvedesse tempestivamente ad avviare le pratiche di successsione ed il Principe Don Virginio Cenci Bolognetti si attivasse presso il Quirinale per ottenere il Decreto Reale che sancisse le ultime volontà del Senatore Varano, il protrarsi dei tempi burocratici provocò una ulteriore, sia pure parziale dispersione a cui si aggiunse, nel 1940, la destinazione di parte dei documenti di Casa Varano alla Biblioteca Valentiniana di Camerino, per effetto del lascito testamentario operato da Venanzio Varano (1897-1940), fratello del duca Rodolfo che pazientemente si dedicò al definitivo riassetto dell’archivio.
Così la sequenza degli avvenimenti viene brevemente indicata nella genealogia dei Varano:“Essendo poi andato smarrito, venduto e perduto, tutto il materiale di archivio, notizie, documenti, monete coniate dai Varano di Camerino ecc. sia per gran parte durante la tutela del padre Duca Don Alfonso, minore di età all’epoca del lascito del Senatore Don Rodolfo Varano, tutela esercitata dalla madre contessa Giulia Cenci Bolognetti dei Principi di Vicovaro, ed in piccola e minor parte per lascito di scritti e qualche documento alla Biblioteca Valentiniana di Camerino, fatto dal fratello Venanzio, ricominciò l’opera di ricerca di documenti, pubblicazioni, monete, ecc., che riformarono la prima base del materiale storico di Casa Varano.
Tale materiale doveva poi maggiormente accrescersi per le ricerche e gli acquisti fatti dal figlio Don Piergentile”.

1 Il conte Giacinto, “nato dei baroni Sardi di Rivisondoli … ed erede del conte Alessandro Vincenti Mareri, … nato all’Aquila il 25 luglio 1793 e morto a Rieti il 30 novembre 1878, (fu) quattro volte Gonfaloniere della città”, nonchè fondatore e presidente della locale Cassa di Risparmio.
2 Nativo di Mopolino, presso l’Aquila, Angelo Maria Ricci aderì giovanissimo all’Accademia dell’Arcadia, con il nome di Filidemo Liciense, pubblicando a soli sedici anni il suo primo componimento poetico in onore del duca di Cantalupo. A venti anni compose il poemetto latino De gemmis, a cui fece seguito nel 1802 la Cosmogonia Mosaica, poema didascalico inteso a confutare le teorie illuministiche. Durante l’età napoleonica, fu a Napoli, come bibliotecario e precettore dei figli di Gioacchino Murat, che gli affidò in seguito la cattedra di eloquenza presso la regia Università. Dopo il Congresso di Vienna, la sua vita si svolse fra Mopolino e Rieti, dove si dedicò alle cure familiari ed alle lettere, pubblicando ancora il trattato Della volgare eloquenza, i poemi epici Italiade e San Benedetto, i componimenti didascalici Georgica de’fiori, l’Orologio di Flora, le Conchiglie. Morì nel palazzo gentilizio di piazza del Leone a Rieti nel 1850.
3 Il canonico Carlo Latini ci da una vivace descrizione del conte Giacinto Vincenti Mareri in una pagina del suo Giornale storico del Capitolo di Rieti dal 19 Luglio 1833 al 1 Luglio 1834: «Gennaio 1834. Dopo la messa conventuale, a cui assistè in pluviale S. Emza Rma (mons. Benedetto Capelletti, vescovo di Rieti), il nuovo gonfaloniere sig. D. Giacinto conte Vincenti Mareri, unitamente agli anziani, cappellano, segretario e sostituto, scortato da’ famigli di Palazzo e da poca truppa, accompagnato da tre legni venne a prender possesso della sua carica nella cappella di Santa Barbara. Tutti erano in grand’abito di formalità. Alla porta maggiore della chiesa fu ricevuto da’ due canonici Staffa e Latini. Quindi passò nelle stanze di S. Emza e finalmente si restituì al Publico Palazzo, ove immediatamente fu visitato dall’Emo cardinale, da mons. Delegato e da molta nobiltà, cui diè un lauto rinfresco. Frattanto la Banda militare eseguiva armoniosi concerti sulla publica piazza, ove vedesi raccolto un numeroso popolo, che giubilava dal contento. La sera, a contemplazione del nuovo magistrato, il publico teatro, ove si rappresentava l’opera intitolata Olivo e Pasquale del sig. maestro Donizetti, venne vagamente illuminato a cera e gli spettatori fecero applausi al gonfaloniere, quando si presentò». (Archivio Capitolare della cattedrale di Rieti, s.c.).
4 Le nuove scuderie furono costruite delimitando lungo il lato ovest il bel giardino, dalla fontana originariamente alimentata da una sorgente d’acqua padronale, sormontata da una statua in terracotta raffigurante Cerere, copia di una scultura d’epoca romana. Il fabbricato, caratterizzato dalle porte decorate da protomi equine, fu completato verso la fine del secolo.
5 Cfr. AA.VV., Una banca, la sua città – Rieti 1846-1996, Rieti 1996.
6 Don Rodolfo Varano fu eletto per la 21ma categoria; l’atto di nomina a Senatore del Regno fu convalidato il 12 giugno 1860.
7 Le nozze fra Venanzio e Lucrezia Vincentini erano state celebrate il 21 settembre 1873; dopo neppure quattro mesi, il 17 gennaio 1874, Venanzio morì; la vedova passò a seconde nozze, con il Conte Ferretti di Castelferretti.
8 Presso l’Archivio Storico di Casa Varano, sono conservati numerosi documenti relativi al matrimonio fra il conte Giacinto Vincenti Mareri e la marchesa Maria Maddalena Varano, dalla scrittura privata della promessa di matrimonio allo strumento di costituzione della dote, ammontante a scudi 16.400. Il conte s’impegnava a corrispondere alla sposa, “a titolo di spillatico, la somma annuale di scudi trecento pagabili in rate mensili anticipate decorribili dal giorno del Matrimonio”. Delle nozze si conservano anche le plaquettes delle poesie epitalamiche, offerte agli sposi da Giambattista De Santis: fra queste, si segnalano due componimenti del poeta Angelo Maria Ricci.
9 Ippolito Vincenti Mareri e Giulia Cenci Bolognetti ebbero, oltre ad Alessandro ed Alfonso, i figli Antonio, morto a due anni, Lucia, Maria Maddalena, andata in sposa al conte Riccardo Pecci di Carpineto Romano, nipote di papa Leone XIII, Giulia, sposata al conte Giovanni Latini Macioti di Velletri, Paola, moglie del marchese Gualtiero Raffaelli di Cingoli.
10 L’Avv. Ottorino Venturini, in qualità di amministratore del Demanio redige il 1 agosto 1896 in Ferrara l’atto di denuncia di successione, conforme alle volontà espresse dal senatore Rodolfo Varano mediante testamento olografo del 1 settembre 1880: il patrimonio immobiliare è costituito dal palazzo gentilizio di via Borgo Leoni, da alcune case d’affitto con annesse botteghe a Ferrara, un palco presso il Teatro Comunale, un altro presso il Teatro Bonacossi, alcune tenute nel ferrarese e nel mantovano, a cui si aggiungono cospicui crediti e beni mobili.
11 Il Decreto fu registrato alla Corte dei Conti il 7 giugno 1946 n° 9 pag. 388 a firma Ferrari. Risulta il pagamento di £. 27.028 di tasse di registrazione.
12 Così nota la genealogia dei Varano: “il titolo Ducale, tornato dopo secoli in Casa Varano, fu (…) merito esclusivo del Duca Don Rodolfo che, per Suo interessamento, meriti, conoscenze, curò e diresse tutto l’insieme della complessa pratica presso la Consulta Araldica del Regno d’Italia e presso Sua Maestà Umberto II di Savoia”.
13 Maria Napoleoni Varano, figlia del Cav. Marco Napoleoni e della marchesa Emma Vecchiarelli, fu donna di alte virtù. Terziaria Francescana, “alla squisita gentilezza d’animo unì onestà, semplicità e dignità”.
14 Questa è la rassegna delle opere edite da Venanzio Varano: a soli ventiquattro anni, pubblica le raccolte di liriche Il Poema solitario (Rieti, 1921) e Sogni (Rieti, 1921). Nel 1923, nella collana Città e terre mistiche curata per l’editore Vallecchi di Firenze dallo Joergensen, viene stampato il saggio La Valle Santa – Rieti. Nel 1928, in occasione della celebrazioni per il 470° anniversario della nascita della mistica sua ava, pubblica a Milano la biografia Beata Battista Varano – La vita spirituale. Nel 1930, per la Bibliotheca Editrice di Domenico Petrini, stampa a Rieti il reportage di viaggio Svezia e Svedesi. Le poesie della raccolta Resurrezione vengono pubblicate postume nella commemorazione dedicatagli nel 1943 a cura dell’Università di Camerino.
15 Il corpus delle opere inedite è custodito presso il Fondo Varano della Biblioteca Valentiniana di Camerino. Possiamo così suddividere i numerosi materiali di archivio:
Poesia
L’invito, cc. 87 non numerate
Accordi, cc. non numerate
Arabeschi, cc. 18 non numerate
Sinfoniale, cc. 12 non numerate
Notturno, cc. 6 non numerate
La scia delle chimere, cc. 2 non numerate
Elegie del silenzio, cc. 18 non numerate
Elegie di Bocca d’Arno, cc. 24 non numerate
Prosa
Raccoglimenti, cc. 52 non numerate
Parvenze, cc. 55 non numerate
La perfetta gioia, cc. 56 scritte recto e verso
Il domani che non sarà, cc. 110 non numerate
Donne del Nord, cc. 68 numerate ed impaginate
Fiamme nell’universo, cc. 305 non numerate
Taddeo Bartoli, cc. 305 non numerate (rielaborazione della tesi di laurea)
I libri corali della libreria Piccolomini nel Duomo di Siena, cc. 69 non numerate
Anime del Nord, cc. 121 non numerate
La Danimarca parte I cc. 141 con 75 fotografie; parte II incompleta
Teatro
Fiori della foresta (libretto d’opera), cc. 27
Nobiltà, dramma moderno in tre atti, cc. 36
La Luce, tragedia moderna in tre atti, cc. 22
Medea, tragedia classica in tre atti, pp. 106
La Madre, dramma moderno in tre atti, cc. 38 non numerate

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