Ileana Tozzi – I Varano. I tempi, i luoghi, la storia (4)

Parte IV

Fonte: Storiadelmondo n. 25, 10 maggio 2004
http://www.storiadelmondo.com/25/tozzi.varano4.pdf

L’autunno del medioevo

All’assetto morfologico della Marca di Camerino, già naturalmente conformata come un territorio strategicamente sicuro, elevato sulla sinclinale e protetto dalla chiostra dei contrafforti della dorsale appenninica, la politica del casato dei Varano unisce un valido baluardo artificiale, costituito da un complesso sistema di fortificazioni.
Già nel 1240 il cardinale Sinibaldo Fieschi, il futuro pontefice Innocenzo IV, aveva provveduto in veste di Legato pontificio ad emanare un diploma destinato a circoscrivere l’area d’influenza della città di Camerino: il territorio sottoposto al controllo camerte era solcato dal Chienti e dal Potenza, da Serravalle a Belforte, da Fiuminata ad Ancaiano, delimitato ad oriente dal Fiastra, da Cessapalombo fino a Bolognola, era costellato da castelli, come Fiuminata e Sorti ad ovest, Prolaqueum, Agellum, Terraimundi, Crispiero a Nord, Borianum, Caldarola, Vistignanum,
Moricum ad Est, Caspriano e Caprilia a Sud. In questo territorio, modesto per estensione ma notevole per rilevanza strategica, si individuavano ancora i luoghi degli antichi insediamenti Longobardi, come la Rocca filiorum Tornaguerrae e la Serra filiorum Petronis, accanto alle
dipendenze abbaziali, come la corte farfense di Lanciano e la corte casauriense di Croce. Fino al 1259, inoltre, la famiglia Magalotti esercitò la sua autorità sui borghi di Poggio, Fiungo e Fiastra.
Il diploma del cardinale Fieschi consente di avere un quadro sostanzialmente ben articolato e dettagliato riguardo all’apparato difensivo che intorno alla metà del XIII secolo si era sovrapposto e si era integrato alle difese naturali sul territorio scandito dalla sinclinale: già in età comunale, dunque, la città di Camerino si era venuta dotando di un sistema complesso di fortificazione, destinato ad essere integrato e potenziato un secolo più tardi, al tempo della signoria dei Varano.
Già nel 1234, al tempo delle contese fra Guelfi e Ghibellini, presso il consiglio del Comune di Camerino è accreditato il giudice Ridolfo. Ai tristi eventi del 12 agosto 1259, quando la città fu fatta preda delle truppe ghibelline di Manfredi, seguì un periodo di tregua, fino a quando i fuoriusciti non furono in grado di riorganizzare le fila e rientrare in possesso delle loro case.
In questo delicato momento di transizione, esercitò un ruolo di particolare rilievo il casato dei Varano, che intraprese il proprio cammino di affermazione politica grazie all’opera di Gentile (1262-’84), di Rodolfo I (1284-1316), di Berardo (1316-1329), di Gentile II (1229-1255), di
Rodolfo II (1255-1283).
Fu il fratello di Rodolfo II, Giovanni di Berardo detto Spacalferro, a dedicarsi in linea prioritaria all’opera di fortificazione dello stato signorile che veniva consolidandosi ai danni delle casate che controllavano i territori limitrofi, gli Ottoni a Matelica, gli Smeducci a San Severino, i Chiavelli a
Fabriano, i Trinci a Foligno, i Brunforte ad Amandola. Giovanni Spacalferro è l’artefice dell’Intagliata, la linea di difesa costituita mediante l’abbattimento di alberi e la palificazione per una lunghezza superiore ai dieci chilometri nel comparto settentionale controllato da Camerino,
dalla Porta di Ferro ad Ovest fino alla Torre Beregna ad Est, attraverso le rocche di Lanciano, Torre del Parco, Aiello, collegate mediante segnalazioni a vista.

Oltre la Torre detta Porta di Ferro, da cui erano controllate le saracinesche che regolavano il flusso delle acque oltre la gola di Pioraco, il castello di Lanciano costituisce la prima rocca allineata lungo la barriera difensiva progettata da Giovanni di Berardo. In precedenza, Lanciano era stato
annoverato fra i possedimenti varaneschi nel testamento di Gentile II, redatto il 28 gennaio 1350: si trattava ancora di un borgo rurale, caratterizzato dalla presenza di un mulino (1) 1 .
La rocca fortificata di Lanciano, che un documento del 1468 annovera fra le tredici arces del territorio di Camerino, verrà trasformata in residenza signorile dopo il 1492, quando Giulio Cesare Varano ne fa dono alla moglie Giovanna Malatesta.
Si protende verso Castelraimondo, prossima al corso del Potenza, la poderosa Torre del Parco, alta 24 metri, denominata per la sua natura eminentemente difensiva Salvum me fac: accanto ad essa, erano i mulini ed i caseggiati dei contadini, passati al tempo della reggenza di Caterina Cybo alla Confraternita del Sacramento. Lo sbarramento dell’Intagliata proseguiva verso Est con la Rocca d’Ajello, eretta già al tempo di Gentile I, nella seconda metà del XIII secolo.
L’antica fortificazione era costituita da due torri di avvistamento collegate mediante una galleria.
Giovanni di Berardo ne fece una rocca vera e propria, inglobando i più antichi corpi di fabbrica delle torri in una struttura complessa, allestita poi come palatium da Giulio Cesare Varano intorno alla fine del XV secolo. La linea di difesa giungeva fino alla Torre Beregna, o Torre Troncapassi,
eretta a guardia del territorio prospiciente i bellicosi centri di Matelica e Sanseverino2 .
Il Codice Varanesco dell’Archivio di Parma alla carta 245 r presenta la descrizione dei fortilizi eretti al 1381 a difesa dello stato di Camerino: “In Dei nomine anno domini millesimo CCCLXXXI indictione IIII tempore domini Urbani pp. VI die dominico prima mensis septembris in festo S.
Egidi presentibus dompno Guido Curtisoni de burgo S. Venantii, domino Ioanne Lippi de contrata Subsancti,domino Francisco Petrutii de contrata Medii et coram pluribus aliis testibus, presenteque Bartholomeo Ausosim de contrata Subsancti. Magnificus et potens miles dominus Iohannes domini Berardi de Camerino nomine et vice communis et populi civitatis Camerini et nomine omnium de domo sua de Varano et in servitiis sancte Ecclesie fundavit quamdam turrim vel fortellitium in monte Beregne et vocatum fuit troncapassi positum in districtu Camerini (…). Item anno domini MCCCLXXXII die XX Iunii V ind. edificata et facta fuit turris salvum me fac per dictum dominum Iohannem. Item anno domini MCCCLXXXII die XX Iunii V ind. edificata fuit turris porte ferri per dictum dominem Iohannem. Item anno domini MCCCLXXXII facta fuit tagliata a truncapasso usque ad castrum Ploraci per dictum dominum Iohannem pro defensione
civitatis Camerini”.

L’intensa attività di fortificazione compiuta fin dal 1350 ad opera di Giovanni di Berardo comprende dunque, oltre alla realizzazione dell’Intagliata, l’erezione della torre Beregna, della torre di Paganico, della rocca d’Aiello, della Torre del Parco, la fortificazione dei castelli di Sentino, di Beldiletto e di Appennino, che a distanza di un secolo saranno oggetto di sistematici interventi di restauro e di trasformazione in residenze fortificate.
All’opera di restauro, di consolidamento e di riadattamento del sistema di fortificazione Giulio Cesare Varano affianca fin dal 1458 gli interventi di bonifica di Montelago e di Colfiorito: per l’esecuzione della “botte”, il cunicolo lungo poco meno di mezzo chilometro attraverso cui si compie il drenaggio degli acquitrini di Colfiorito, il signore di Camerino si rivolge a Giovanni di Cosimo de’ Medici affinchè gli invii un esperto ingegnere idraulico “volendo fare asciuttare una acqua, la quale è in una pianura in nel mio tenere” 3 .
Il lavoro di bonifica fu compiuto entro il 1470.

Intanto nel 1468, dopo un decennio di oculato governo e dopo aver militato al servizio della Chiesa, Giulio Cesare Varano aveva ottenuto da papa Paolo II un diploma di investitura della signoria di Camerino. Il documento, redatto dalla Cancelleria Vaticana, enumera ben sessanta luoghi fortificati all’interno del territorio controllato dal Varano: “ Territorium et districtum predictos necnon Terras castra et loca infrascripta videlicet: Castrum Serravallis, Castrum Dignani, Castrum Rochette, Castrum Precanestri, Castrum Ilias, Castrum Montissanctipoli, Castrum Mutie, Castrum Iovis,
Castrum Vallissanctiangeli, Castrum Prefolii, Castrum Recentarii, Castrum Capriglie, Castrum Turriculi, Castrum Apennini, Arcem Beldelecti, Castrum Florismontis, Castrum Rochemaii, Castrum Flastre, Castrum Aquecanine, Castrum Bolognole, Castrum Fiegne, Castrum Plebisfaverii, Castrum Crucis, Castrum Vestignani, Castrum Montisalti, Castrum Collispetre, Castrum Cessapalumbi, Castrum Camporotundi, Castrum Serrefiliorumpetroni, Castrum Sancti Venantii, Castrum Borghiani, Vallis Cimaria, Arcem Campolarcii, Castrum Stacti, Arcem Varani, Arcem Sentini, Castrum Cresperii, Arcem Agelli, Arcem Beregni, Arcem Famittle, Castrum Gagliois, Arcem Bisacciarum, Castrum Sancte Marie, Terram Sancte Anatolie, Castrum Raymundi, Arcem Lanciani, Castrum Ploraci, Castrum Sanctiiohannis de Fluminata, Arcem Spinuli, Arcem Tanganorum, Arcem Sanctelucie, Castrum Podii Surrifi, Castrum Sortis, Castrum Caponie, Villam Sefri, Castrum Plebiscovegliani, Castra Rocchemaie, Insule et Corveriani”.
Il decreto di investitura, che consolidava i rapporti fra il Pontefice ed il signore di Camerino, chiariva inoltre inequivocabilmente il problema dinastico della successione, prevedibile alla morte di Giulio Cesare che non aveva eredi maschi legittimi.
Mentre da Rodolfo, infatti, era derivata discendenza legittima nelle persone di Piergentile, Ercole e Niccolò Maria, Giulio Cesare aveva all’epoca unicamente due figli maschi illegittimi: Cesare Ottaviano – che sarebbe morto nel 1488 – ed Annibale. Il decreto del 12 maggio 1468 consentiva
appunto ai due eredi di vedere riconosciuti i loro diritti di successione, prescindendo dalla legittimità della loro nascita ed assicurando la discendenza dei nipoti.
La delicatezza dell’argomento affrontato nel decreto pontificio consigliò la Cancelleria Romana ad elencare minuziosamente, come abbiamo visto, l’entità dell’investitura e a far ratificare l’atto da ben diciannove Cardinali del Sacro Collegio.
Al tempo di Giulio Cesare Varano, quando lo Stato di Camerino aveva vissuto per qualche decennio in una condizione di stabilità amministrativa e di benessere economico e la corte signorile aveva saputo rappresentare un centro vivace della cultura protorinascimentale, le antiche fortificazioni
erano state ingentilite negli arredi ed adattate architettonicamente a nuove funzioni di ospitalità e residenza civile.

Oltre alle dettagliate descrizioni del palazzo ducale, dovute all’inventario di Ludovico Clodio, un documento coevo consente di ricostruire fin nella dotazione degli arredi “ … la roccha de bel Dilecto” così come fu consegnata dal castellano ser Arcangelo al messo dei Borgia, ser Venanzio Antonio 4 .
L’elenco consegnato dal castellano ai nuovi padroni consente di individuare nel complesso di Beldiletto la sovrapposizione di tre diverse tipologie, caratteristiche di epoche e di funzioni fra loro distanti: la prima, decisamente arcaica, è quella dell’azienda agraria, legata alla tradizione romana e rinverdita dalla presenza delle abbazie benedettine nella Marca di Camerino; a questa segue la funzione difensiva, resasi necessaria fin dai tempi della dominazione longobarda ed incrementatasi grazie agli interventi di fortificazione realizzatisi sotto Giovanni di Berardo Varano nel corso del XIV secolo; la terza ed ultima fase, è appunto quella rinascimentale, che trasforma le antiche strutture in residenze destinate ad accogliere in maniera confortevole, se non addirittura raffinata, i Signori ed i loro ospiti. L’inventario di ser Arcangelo lascia distinguere, all’interno del castello, la pars rustica delle stalle e dei pollai, delle cantine e del forno, della dispensa e della cucina, strutture costituite da locali ampi e spaziosi, ricchi di ogni mezzo necessario alla produzione, alla conservazione, alla manipolazione degli alimenti. Accanto ai magazzini ed alle cantine, la pars
rustica appare opportunamente corredata degli alloggi per la servitù.
La funzione difensiva resta affidata al Torrone, che domina la struttura squadrata, dalla pianta che riproduce le linee essenziali del castrum romano. La descrizione, sia pure essenziale, delle camerae pictae dette del Paradiso e dell’Inferno, così come l’enumerazione degli arredi, consentono di comprendere l’entità degli interventi di ristrutturazione intrapresi da Giulio Cesare Varano nel 1464: sono enumerati vari salotti, un tinello, tre impianti igienici (i cosiddetti “ necessari”), tutte le stanze sono dotate di infissi, di camini o di bracieri (i “ trespidi” o “ trespilli”).
L’ospitalità, di cui si avvalse nel 1510 papa Giulio II, ricevuto a Beldiletto con i più grandi onori, era assicurata dall’arredo essenziale, ma comodo e versatile: ogni stanza era infatti dotata di lettiera (con o senza pedana), di cassoni e panche, nè mancavano le tavole – rozze, ma ampie e di legname
pregiato – che consentivano il sollecito allestimento per qualsiasi funzione si rendesse necessaria.
D’altro canto, durante la prima età moderna era ancora radicato e diffuso l’uso di metter su tavola, montando alla lettera le tavole su cavalletti quando se ne richiedeva l’uso.
L’antica fortificazione, che aveva inglobato le caratteristiche dell’azienda agraria, si era così versatilmente trasformata in residenza signorile, senza peraltro rinnegare le sue originarie funzioni.
Vita pubblica e vita privata si fondono, a Camerino, presso le abitazioni dei Varano, secondo una prassi diffusa presso le corti minori del Rinascimento italiano presto imitate dalle casate regnanti d’oltralpe.

Fra il 1489 ed il 1490 prendono l’avvio gli importanti interventi di consolidamento e di ristrutturazione operati da Giulio Cesare, definito dal Savini “ per natura splendido”, al fine di trasformare le “ case vecchie” abitate dalla famiglia dalla fine del XIII secolo in un’ autentica residenza signorile, atta ad assolvere alle funzioni amministrative ed agli obblighi di rappresentanza, confortevole rispetto alle esigenze della famiglia ed aperta alle istanze del popolo, che frequentando il palazzo poteva percepirsi come cittadino piuttosto che come suddito 5 .
Così dunque il Lilii nell’ Istoria della città di Camerino descrive il palazzo dei Varano, al cui progetto partecipò probabilmente l’architetto Baccio Pontelli: “ Era all’hora applicato Giulio alle fabriche, e procurava d’inalzare con magnificenza quella della loggia, ò del cortile del Palazzo nuovo, e l’inalzò con colonne intiere di pietra, e con archi proportionati, e grandi, ch’ oggi restano à memoria della magnanimità di quel grand’uomo. Rimase unita quella fabrica all’altre incominciate molto avanti da lui verso le mura, si che le stanze vennero à corrispondere in quell’ ampio cortile; e questo, e quelle furono tratteggiate col pennello, e con le pitture à fresco, e ad olio, & oltre i ritratti de’ Prencipi, e de’ camerinesi, & alle favole de’ Gentili, veggonsi al naturale dipinti nella stanza della fortuna i due grandi Illustratori della militia Italiana Francesco Sforza, e Giacomo Piccinini, questi semplicemente, ma l’altro tirato sopra un Carro dalla Fama, e dalla Fortuna con le tre Parche avanti, ch’ordiscono i stami della sua vita. Niuna parte era più riguardevole di quel Palazzo della Porta formata da due gran Colonne, e da un’architrave, sopravi un petto con testa di marmo di Giulio. Furono levati questi adornamenti da un Governatore, che commutò la porta per intagliarvi il suo nome, e fraporvi l’armi, ch’oggi vi sono di niuno arteficio, ò nobile architettura” 6 .
Il nuovo palazzo era ideato ed organizzato in maniera tale da sancire tangibilmente lo status signorile della casata: le duecentesche “ case vecchie” del tempo di Gentile, già riadattate ed ampliate da Venanzio Falcifer, furono integrate nella nuova, organica costruzione e rimasero abitate dalla famiglia in segno di continuità dinastica, come spazio privato, più intimo ed antico.
I nuovi edifici eretti fra il 1489 ed il 1499, raccordati mediante l’armonico quadriportico, definivano lo spazio pubblico, destinato agli uffici di rappresentanza.
L’inventario stilato dal caldarolese Lodovico Clodio individua nella Relazione dello Stato di Camerino indirizzata a papa Alessandro VI nel 1502 69 stanze, 4 loggiati e 3 cantine, munite di 56 botti, nelle “ case vecchie”, 40 stanze ed una scuderia adatta ad ospitare un centinaio di cavalli nelle
“ case nuove”.
La vita vi si svolgeva lieta ed animata, il tempo passava “ in suonare, cantare, ballare, pazzeggiare” secondo la testimonianza autobiografica della beata Camilla Battista: vi erano frequenti le feste, le giostre, le cacciate, così come assidue erano le visite di ospiti di riguardo, per parentela o per diplomazia 7 .
Il palazzo era aperto alla nobiltà ed alla plebe, tanto che ogni giorno vi si preparavano pasti per trecento coperti:“ tutta la terra andava a corte, chi a scaldarsi, chi a giocare, chi a ronfa, chi a tavolieri, chi a sentir nuove, chi a parlare al signore fino a tre o quattro ore di notte; poi il giorno chi a giuocare alla palla, chi a uccellare col Signore, e questo sempre ad ogni tempo” 8 .
Non è difficile accostare alla vita di corte al tempo di Giulio Cesare le fastose parate dipinte dai pittori della coeva scuola di Camerino: se stilisticamente l’Adorazione dei Magi della Galleria dell’Atheneum di Helsinki può essere riferita ai modelli di Benozzo Gozzoli e Gentile da Fabriano, è indubbio che il giovane Giovanni di Piermatteo, alle sue prime esperienze pittoriche, abbia tratto spunto dai cortei che dovevano frequentemente attraversare la città di Camerino alla volta delle case dei Varano.
La cura sontuosa dell’abbigliamento, il ricco apparato dei cavalli, con i finimenti impreziositi da borchie metalliche finemente lavorate e con le belle gualdrappe seriche, la presenza di un nano e di un levriero sono elementi vivaci, che non è possibile ridurre ad un repertorio convenzionale
d’immagini.
La corte era frequentemente allietata dalla presenza di suonatori e cantori, dal ricco repertorio musicale: particolarmente apprezzate erano le canzoni a ballo eseguite con gli strumenti a corda, come viole, arpe, citare, liuti 9 , raffigurati frequentemente da Giovanni Boccati negli Angeli musicanti dei suoi dipinti.
Da Camerino, in particolare al tempo del ducato di Giovanni Maria Varano, provengono numerosi, validi suonatori che “ per la loro assoluta preferenza per la tuba, sembrano esprimere il carattere guerresco della Signoria dei Varano” 10 .
Tra questi, spicca il suonatore di tuba Perjohannes, indicato come tubicen di Giovanni Maria Varano, retribuito con compensi ragguardevoli.
Non minore era però l’attenzione manifestata dalla corte varanesca verso i cultori delle humanae litterae. Gli umanisti Macario Muzio e Ludovico Lazzarelli tenevano accademia presso il palazzo, che vantava – stando all’ inventario borgiano – “ una stanzia dove stava la libraria, suffictata con suoi scaffali attorno da ponere libri et cassoni intorno da ponere libri”.
Già nel 1502, la biblioteca di Giulio Cesare era andata dispersa: la sigla del signore, apposta come ex libris, consente però ad Aringoli di riconoscere un codice di Aristotele fra i volumi che vi erano custoditi 11 .

La lettura, sia pure “ di cose vane”, vale a dire di opere letterarie di tono mondano era, negli anni che precedono la vocazione alla vita religiosa, fra le occupazioni preferite dalla giovane Camilla, che aveva ricevuto a corte una salda formazione culturale.
Non siamo in grado di individuare con sufficiente esattezza i termini della forma urbis che Giulio Casare Varano, autentico signore rinascimentale, doveva aver previsto per modellare Camerino come città ideale: il suo progetto fu violentemente interrotto dagli eventi del 1502.
Ma egli intraprese sistematici interventi di edilizia pubblica, dotando Camerino di strutture efficienti, di opere di utilità pubblica quale è ad esempio l’ospedale, portato a compimento nel 1490.

Nota il Lilii che “ volle Giulio oltre l’arma di lui, che fussero intagliate nella porta della Chiesa quelle degli offitiali deputati per l’assistenza del luogo, e vi fece notare il tempo co’ lustri in vece degl’anni

“IULIUS CAESAR VARANUS PAUPERTATI,
& MISERICORDIAE PIE DEDICAVIT
A NATALI CHRISTIANO LUSTRI 296. ANNO 4” 12

Con l’intento manifesto di ricondurre in patria la figlia Camilla, entrata con il nome di suor Battista nel monastero di Santa Chiara ad Urbino, Giulio Cesare acquista il complesso di Santa Maria nova dotato al tempo degli Olivetani dall’avo Giovanni Varano (1384), ottiene da papa Sisto IV il permesso di utilizzare come materiali di risulta le pietre del vicino monastero delle Benedettine, ormai fatiscente, a condizione di mantenere intatta la chiesa di Santa Costanza, ancora officiata 13 .
Camilla (1458-1524), figlia illegittima di Giulio Cesare, aveva ricevuto presso la corte paterna un’educazione letteraria e morale di prim’ordine, affidata alle cure affettuose della matrigna Giovanna Malatesta ed all’insegnamento di valenti precettori.
La giovane crebbe coltivando le sue doti spiccate attraverso l’esperienza esteriorizzante della corte camerte, che insieme con Urbino si segnala per fasto ed eleganza fra le Signorie appenniniche.
Camilla praticava dunque le lettere, imparando dapprima ad apprezzare, poi a modulare la prosa degli eruditi e la lingua dei poeti. Soprattutto, Camilla è e rimane figlia del suo tempo, protagonista e dominatrice di una cultura che assegna a ciascuno il privilegio di essere “ quasi arbitrarius
honorarius plastes et fictor”, come orgogliosamente afferma Giovanni Pico della Mirandola.
Il dissidio fra il prepotente senso dell’umano ed il sentimento del divino attraversa come un’ansia interiore la civiltà dell’umanesimo e si riverbera nell’animo della giovane che, intorno ai venti anni di età, portò a compimento la propria maturazione spirituale.
Attratta verso la vita religiosa dalla Predicazione dell’Osservanza, dovette misurarsi con il duplice diniego del padre, che le rifiutò inizialmente il consenso alla monacazione ed alla partenza da Camerino. Solo nel 1481, finalmente pronunciò i voti temporanei facendosi Clarissa ad Urbino, con
il nome di Battista. Tre anni più tardi, al momento della conferma, Giulio Cesare Varano la richiamò in patria assegnandole l’antico complesso conventuale degli Olivetani, acquistato ed attrezzato per le esigenze della sua comunità.
Camilla Battista adottò la Regola delle Pauperes Dominae di Santa Chiara, a cui intitolò il suo monastero di stretta osservanza. Qui, ad eccezione del forzoso rifugio in territorio di Regno al tempo della dominazione borgiana (1502), e della fondazione di una nuova comunità di Clarisse a Fermo (1505-’6), la mistica compì il suo intenso, travagliato cammino di perfezione prendendo a sublime modello la Passione di Cristo. Morì presso il monastero di Santa Chiara il 31 maggio 1524, a sessantasei anni di età.
Il monastero fu dato in consegna alle Clarisse, con pubblica cerimonia, il 4 gennaio 1484, quando il notaio ser Antonio Pascucci ne redasse l’atto di donazione. Giulio Cesare Varano sostenne spese ingenti per il restauro funzionale del monastero 14 , caratterizzato da un elegante doppio portico
rinascimentale, aperto come chiostro al piano terreno e chiuso da finestre al secondo piano.

Il monastero fu inoltre dotato di ricche opere d’arte, quale il coro ligneo intagliato dall’ebanista Domenico Indivini da Sanseverino 15 .
Con altrettanta generosità, già nel 1464 Giulio Cesare aveva provveduto insieme con il cugino Rodolfo al rifacimento della facciata della chiesa abbaziale di Santa Maria a piè di Chienti, fondata intorno al IX secolo, che era stata già fra le prepositure farfensi di maggiore importanza nella Marca
di Camerino.
Il riassetto quattrocentesco della facciata comportò la realizzazione di una cortina in mattoni, di un portale d’accesso e di due porte laterali, successivamente tamponate, dalle eleganti ed armoniche linee di gusto classico. L’intervento di restauro architettonico compiuto dai signori di Camerino indusse pochi anni dopo papa Sisto IV ad assegnare la chiesa e l’abbazia di S. Maria ad Pede Clentis al nuovo ospedale di Camerino, anch’esso frutto degli interventi promossi da Giulio Cesare ad accrescere il prestigio ed il benessere della città. Con analogo spirito caritativo, Giulio Cesare Varano aveva sostenuto le spese di restauro del conventino di San Pietro di Muralto per conto degli Osservanti.
Il disegno culturale, politico ed artistico di sottrarre il territorio alle asperità della natura ed alle esigenze della storia fu manifesto nella trasformazione di alcuni elementi del sistema difensivo dei secoli passati in amene residenze: è quanto Giulio Cesare compie nel 1464 a Beldiletto, il cui castrum viene riallestito come villa fortificata, e Giovanna Malatesta realizza dopo il 1492 a Lanciano.
Il castello di Beldiletto, in cui due sale a pianterreno conservano traccia degli affreschi del XV secolo, fu utilizzato dunque come casino di caccia.
Riguardo agli interventi di ristrutturazione intrapresi da Giovanna Malatesta a Lanciano, il Lilii offre una dettagliata descrizione:“ Giovanna Malatesta, come ch’ emulasse il marito, faceva alzare intorno à quei tempi sù le sponde del fiume Potenza la Fortezza col Palazzo di Lanciano. Era questa formata da una gran corte principalmente, e da una gran sala ornata di pitture, e de’ ritratti delle Donne Illustri” 16 .
La corte rinascimentale non venne dispersa dalla tragicità degli eventi della breve dominazione di Cesare Borgia. Particolarmente intensi, caratterizzati da reciproca stima, appaiono i rapporti intercorsi fra l’umanista Varino Favorino e la corte camerte. Beneficiato infatti in gioventù dal vescovo Fabrizio Varano, che per primo ne apprezzò e ne valorizzò le capacità, Varino Favorino rimase legato alle sorti della dinastia camerte interponendo i suoi buoni uffici a favore dei Varano al tempo della restituzione dello Stato di Camerino.

Nato a Pieve Favera intorno alla metà del XV secolo, dopo il 1480 fu a Firenze discepolo del Poliziano e di Giovanni Lascaris, intraprendendo la compilazione di un’opera lessicografica, il “ Thesaurus cornucopiae et horti Adonidis”, dedicato a Piero de’ Medici.
Dal 1493, fu precettore di Casa Medici prendendosi cura dell’educazione di Giovanni ,il futuro papa Leone X, e Giuliano, figli del Magnifico, e di Lorenzo di Piero, il futuro duca di Urbino.
Scacciati i Medici da Firenze, Varino ne seguì le sorti a Roma, in qualità di precettore dei nipoti del cardinale Giovanni.
Dopo che nel 1508 fu ricostituita la biblioteca privata dei Medici, recuperata da Firenze, il cardinale gli conferì il prestigioso incarico di Bibliotecario, il che gli consentì di dare avvio alla raccolta delle principali opere grammaticali, lessicografiche e scolastiche dell’antichità.
Per conto di Giovanni Maria Varano, rientrato in possesso della signoria di Camerino dopo la cruenta parentesi borgiana, Varino Favorino ottenne la restituzione dei castelli di Visso e Sanginesio; papa Giulio II lo nominò – ancora nel 1508 – commissario e castellano delle rocche di Jesi, Osimo ed Offida. Nel 1514, ottenne la cattedra di lingua greca alla Sapienza e, alla morte di Ludovico Clodio, fu nominato preposto alla Diocesi di Nocera Umbra. Nel 1515, presenziò a Camerino alle cerimonie per l’incoronazione ducale di Giovanni Maria Varano, accompagnando la quattordicenne Caterina Cybo, nipote di Innocenzo VIII e di Lorenzo il Magnifico, promessa sposa del duca. Il matrimonio fu celebrato nel 1520, anno in cui il duca Giovanni Maria Varano si avvalse ancora della collaborazione del Favorino per trattare un accordo con il cugino Ercole, che da Ferrara rivendicava diritti dinastici sulla signoria di Camerino. Il 7 aprile 1523, il vescovo umanista era ancora a Camerino per celebrare il battesimo di Giulia, (primogenita) di Giovanni Maria Varano e Caterina Cybo. Fino alla morte, i legami fra Varino Favorino e la signoria camerte furono intensi, se nel 1537 il Colocci si rivolge – e senza esito – al duca Varano per ottenere le spoglie dell’umanista affinchè possano essere sepolte presso il duomo di Nocera, dove gli è stato eretto un monumento funebre.
All’ultimo periodo della signoria di Giovanni Maria si deve la costruzione della chiesa cemeteriale di Santa Maria dei Varano, a Muccia: si tratta di un edificio a pianta ottagonale, dai lati uguali, impostati su stilobate, caratterizzato dall’alternarsi ordinato di pietra bianca, squadrata, per gli spigoli vivi e di pietra locale rosata per le pareti. La copertura, che avrebbe dovuto completarsi mediante un tiburio, fu invece realizzata con un soffitto di travi convergenti e tegoli a raggera.
Intorno alla metà del ‘500, il caldarolese Simone de Magistris dipinse sul lato dell’abside una limpida, armoniosa Madonna con Bambino.
Ai piedi della rocca da cui la fortuna dei Varano aveva preso l’avvio, la parabola durata oltre tre secoli si conclude e si ricapitola nelle forme di una cappella isolata, dalla sobria solennità cemeteriale.
La politica interna allo Stato di Camerino era stata ispirata, al tempo di Giulio Cesare Varano, a saldi principi di equità e concordia civile: così il signore intendeva ergersi a garante delle libertà formalmente garantite dagli statuti civici, moderando le istanze degli esponenti delle Arti maggiori,
consolidando gli equilibri attraverso un’abile strategia matrimoniale 17 .
Per quanto riguardava, invece, i rapporti con i potentati, Giulio Cesare aveva consolidato le proprie posizioni nell’orbita d’influenza del Papato nel corso degli anni dal 1447, quando Niccolò V lo aveva eletto Vicario di Santa Chiesa in Camerino, congiuntamente al cugino Rodolfo, al 1482, quando era stato eletto governatore generale delle milizie della Chiesa.

Così recita il codice della “ Genealogia dell’antichissima, e nobilissima famiglia Varano de’ Duchi di Camerino avente origine da Bernardo, e Commodo Varano fin dall’anno 258”: “ Julius Caesar Varanus militavit Florentinis A. C. 1451 . Senensibus 1455 . Duci Angio item, et Paulo II . Papae
sub Sixto IV fuit Ecclesiae Romanae gubernator. Anno 1484 Reipublicae Venetae generalis gubernationis titulum acquisivit. Matthiae Corvini regis Ungariae generalis, item ductor exercitus fuit, ac Ferdinandi Regis Neapolitani locum tenens. In Camerina civitate novum palatium, et ambulacrum aedificavit: A Pont. Rom. Sixto IV Cerretum et Montem Sanctum Umbriae ducatus possedit. Senex et decrepitus cum esset a Caesare Borgia, reliquorum nobilium, et Baronum eius Provinciae contemtore, et ad totius Italiae dominium aspirante, captus et in castillo Pergola a Michaele carnifice, Borgiae ministro, strangulatus est”, ricapitolando con la consueta capacità di sintesi la parabola della vicenda umana e politica di Giulio Cesare Varano. I rapporti con il papa si
erano incrinati nel 1484, quando Sisto IV pretese invano che egli si dimettesse dall’incarico di condotta militare sottoscritto con i Veneziani. Oltraggiato per il rifiuto, il pontefice si era rivolto a Piergentile e ad Ercole, figli di Rodolfo Varano, formalmente compresi nel vicariato ma di fatto
estromessi dal governo di Camerino, affinchè la loro presenza agisse da deterrente per le imprese di Giulio Cesare a favore dei Veneziani.
La morte di papa Sisto IV, sopravvenuta il 12 agosto 1484, sembrò scongiurare ogni pericolo per il signore di Camerino ma, come narra la genealogia di Casa Varano, “ giunto il tempo di Alessandro VI, Giulio fu una delle vittime designate ai tradimenti di casa Borgia, ed il suo stato destinato dal papa ai suoi nipoti (…). Nel 1502 fu citato a Roma, perchè non pagava i censi feudali. Rovesciò sui figli le colpe, si scusò per le gotte, per l’età ed il papa mostrò perdonargli ricevendo una grossa somma. Questo fu uno stratagemma d’Alessandro VI, onde assalirlo nel momento in cui esaurito il
tesoro, Giulio mancasse di denaro per assoldar genti”.
Dopo la morte del fratello Giovanni, duca di Gandia, Cesare Borgia fu infatti libero di attendere alle arti marziali e di manifestare il proprio ambizioso progetto politico: creare un proprio stato ai confini del Patrimonio di San Pietro, sottraendo con le armi o con gli inganni gli antichi feudi ai
loro signori.
Racconta il Lilii nella “Istoria della città di Camerino” come “subodoratasi in Camerino la Lega 18 , non si contennero i Varani di sfoderar la lingua contro il Valentino, che erano l’operationi de prencipi confacevoli à gli anni, perche la maestà con la gioventù non bene s’accoppia” 19 .
Giulio Cesare era tornato da poco dall’udienza papale, convinto di essere riuscito attraverso il pagamento di una somma cospicua e grazie ai buoni uffici della diplomazia veneziana a tacitare Alessandro VI, quando “si presentarono (…) altri pretesti più speciosi, e di molta importanza”.
Così il ricetto dato in Camerino ai fuoriusciti che avevano già perduto i loro feudi fu assunto a pretesto per accusare Giulio Cesare del delitto di lesa maestà: “ contro Giulio dunque uscì nuovo Monitorio del Vice Camerlengo, e per esso esaggerava Alessandro, che Giulio Varani figliuolo dell’iniquità, e della perditione, dopo essere stato assoluto benignamente da lui, haveva dato ricetto à i ribelli di S. Chiesa, e dato assistenza à Filippo degli Arcioni, ch’à nome proprio riteneva la Rocca di Gualdo, e calore a’ fuorusciti Perugini nella sorpresa, e sacco di Nocera; gl’imputava in oltre d’havere machinato alla vita di Ridolfo suo fratello”.
La sottile macchinazione ordita ai danni dei Varano era resa evidente dal fatto che la falsa accusa rivolta a Giulio Cesare di aver cospirato ai danni del cugino dal momento che “ in sanguinem suum inhumaniter saeviens, … in necem q. Rodulphi eius fratris machinatus fuerat” si ritorceva ai danni dei Varano di Ferrara, che avrebbero piuttosto avuto diritto ad un risarcimento di un eventuale danno arrecato loro dal signore di Camerino

Prosegue il Lilii notando che “ non erano però bastanti la sentenza, ò le censure contro Varani, per levar loro lo stato, ripieno di Castella, e di fortezze, guardate da’ Cittadini, affettionati à Varani, e da i contadini (…). Era dunque necessaria la forza, et il cannone, per espugnare Camerino, nè ciò era stimato sufficiente se non dopo un lungo assedio, e questo solamente per l’acquisto del Borgo; stimandosi la Città di sito à maraviglia forte, e inespugnabile, perche non poteva essere battuta per l’artiglierie ”.
Mentre Cesare Borgia disponeva le sue milizie per cingere d’assedio la città, Giulio Cesare organizzava una strenua difesa, confidando nel valore dei figli Venanzio ed Annibale e nella fedeltà dei cittadini: proprio da questi, “ i quali -come amaramente constata il Lilii – come più potenti, e mostrandosi più pronti in servirlo, erano i più finti” sarebbe stato abbandonato e tradito.
Così infatti il giovane nobiluomo Giovanni Antonio di Antonio Ferraccioli arringò i Camerinesi contro casa Varano, tratteggiata nelle sue dure invettive come una tirannide, e convinse a parteggiare per il Borgia molti dei concittadini tra cui il Lilii enumera gli esponenti delle famiglie
più in vista. Giulio Cesare stabilì pertanto la resa, inviando fra gli ambasciatori presso il Valentino lo stesso Ferraccioli.
Intanto, saggiamente aveva inviato a Senigallia Maria della Rovere, moglie di Venanzio, con i figlioletti Porzia, Sigismondo e Battista e a Venezia il figlio Giovanni Maria, “sicut Priamus Polydorum in Thraciam … cum Thesauris”.
Nel mese di giugno 1502, Cesare Borgia partì da Roma alla conquista delle Marche, interrompendo ogni trattativa ed imponendosi rapidamente per mezzo delle armi nei territori del ducato di Urbino e dello stato di Camerino. Così, con essenziale drammaticità, la genealogia dei Varano descrive la fine di Giulio Cesare: “ il Varano, informato che i conti di Montevecchio che tenevansi del partito del Borgia avevano distribuite le loro milizie ne’ castelli di Sorbolongo, delle Renforzate, e dell’Isola Gualteresca, vedendo chiusa ogni via allo scampo, si arrese. Fu dunque tradotto alla Pergola. In questo tempo i condottieri che servivano il Valentino gli avevano fatto ribellare molti luoghi. Ma egli pronto recossi a Fano adunando mezzi per la repressione, ed andando a sottomettere la Pergola, uno de’ paesi rebellati, prese la rocca, vi fece strangolare il Varano
credendolo complice della sollevazione. Ciò accadde il 9 ottobre 1502 e il carnefice fu Micheletto di Valenza, uno de’ condottieri del Valentino”.
Altrettanto crudele fu la sorte riservata al giovane Pirro, carcerato presso la rocca di Cattolica e strangolato per ordine di Micheletto di Valenza, di 20 Venanzio e di Annibale, uccisi sul sagrato della chiesa di San Francesco a Pesaro.
Intanto a Camerino fin dal 17 agosto si era insediato come Governatore il Vescovo di Isernia ed un mese più tardi Alessandro VI aveva investito Giovanni Borgia, bambino di cinque anni, dello stato di Camerino, eretto a Ducato con le terre di Cerreto e Montesanto in Umbria, Matelica, Caldarola e Belforte nelle Marche. La notizia della morte di Giulio Cesare e dei suoi figli addolorò gli antichi sudditi, che dunque “ intrapresero di rimettere Gio:Maria nello stato, il quale da Venetia era passato all’Aquila insieme con Hercole Varani figlio di Ridolfo, e suo cugino”.
Mentre a Camerino si costituivano spontaneamente le fazione avverse dei “ Varaneschi” e dei “ Ducheschi”, Ludovico Clodio, inviato come osservatore dal Papa, stilava la sua relazione sullo Stato di Camerino, dando preziosi suggerimenti per il consolidamento del potere: Alessandro VI conferì dunque l’incarico di governatore allo spagnolo Pietro Perez e dette inizio alla costruzione della fortezza nel sito già occupato dalla chiesa di San Pietro e dall’annesso convento degli Osservanti.
Furono inolte inviati a Roma, in qualità di ostaggi, molti cittadini fedeli alla fazione varanesca.
Questo era lo stato delle cose di Camerino, quando la sera del 19 agosto 1503 si diffuse la notizia della repentina morte di Alessandro VI: il governatore, benché avesse al suo seguito trecento fanti spagnoli, trovò rifugio insieme con Ludovico Clodio presso la Rocca di Matelica.
Così, come lucidamente osserva Niccolò Machiavelli, “Cesare Borgia, chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la fortuna del padre, e con quella lo perdé; nonostante che per lui si usassi ogni opera e facessi tutte quelle cose che per uno prudente e virtuoso uomo si doveva fare per mettere le barbe sue in quelli stati che l’arme e fortuna di altri gli aveva concessi”.
Intanto Giovanni Maria, che la prudenza del padre aveva scampato alla strage della casata, aveva tentato invano di recuperare lo Stato nel dicembre 1502, organizzando una sortita con la complicità
di otto camerinesi 21 .

La breve parentesi di riappropriazione del potere gli aveva dato soltanto l’opportunità di soddisfare il desiderio di vendetta nei confronti di coloro che avevano oltraggiato Giulio Cesare ed avevano cercato benefici dal Papa. Fu fatta dunque giustizia sommaria, bruciando le case dei Ducheschi e giustiziando i cittadini più compromessi con il regime dei Borgia.
Per procurarsi i fondi necessari all’impresa, Giovanni Maria si risolse a spogliare le chiese di Camerino dei loro arredi, senza risparmiare la statua votiva dedicata da Giulio Cesare e Giovanna a San Venanzio per la nascita del loro primogenito.
L’impresa tentata da Paolo Orsini, con Vitellozzo Vitelli ed Oliverotto da Fermo, per riconquistare Urbino riportò nelle Marche l’esercito di Cesare Borgia, forte di novemila uomini, ed indusse Giovanni Maria alla fuga.
Alla morte di Alessandro VI, il ritorno a Camerino fu trionfale: “ giunse Gio:Maria à 29. di quel mese, facendo l’ingresso per la porta del Mercatale, & erano con essolui Mutio Colonna, il Sig. di Matelica, e molti Camerinesi. Fù ricevuto con applauso, e giubilo universale del popolo, che aspettato il giorno sù le cinque hore, unito nella piazza maggiore, alle voci di Varano Varano, corrispose non solo con l’istesse parole, ma con ogni possibile dimostrazione della commune allegrezza”.
Papa Pio III, durante il suo brevissimo pontificato (22 settembre-18 ottobre), aveva riconfermato al Varano lo Stato di Camerino.
Giovanni Maria decretò il lutto cittadino e fece celebrare solenni esequie per il padre ed i fratelli, i cui cadaveri erano stati recuperati nel territorio del ducato di Urbino.
Narra il Lilii che parteciparono alla cerimonia funebre tutti i membri della famiglia e della corte vestiti di nero: “ nella Chiesa Catedrale era spiegato un panno di velluto nero scrittovi con lettere d’oro
IULIUS CAESAR VARANUS
Camerini Princeps Optimus vixit annos 70. obiit anno 1502.
In oltre pendevano quivi appesi quattro nobili stendardi con l’armi di Sisto IV, di Matthia Corvino Rè d’Ungheria, di Ferdinando Rè di Napoli, e della Repubblica veneta”, al cui servizio Giulio Cesare aveva militato con onore.
In questa circostanza, Giovanni Maria fece mettere a morte quanti si erano macchiati del tradimento e della strage, bandì i fuoriusciti e ne confiscò i beni.
Fu esemplare la vendetta compiuta ai danni di Micheletto di Valenza, responsabile dell’uccisione di Giulio Cesare, di Venanzio, Pirro ed Annibale: dopo averlo imprigionato a Cagli, Giovanni Maria fece eseguire la condanna a morte ordinando che fosse squartato.
Eletto papa dal Conclave del 31 ottobre il cardinale Giuliano della Rovere, la nipote Maria, vedova di Venanzio, avrebbe voluto che il figlio Sigismondo fosse associato al cugino nel reggimento dello stato di Camerino: Giovanni Maria fu sollecito nell’offrire la sua milizia al servizio della Chiesa,
così da garantirsi il pieno riconoscimento dei suoi diritti.
Fu preziosa in queste circostanze, ed in particolare in occasione di una congiura ai danni di Giovanni Maria fortunosamente sventata, l’opera di mediazione esercitata dalla madre Giovanna Malatesta.
Nel 1508, morì a Fabriano il vescovo Fabrizio Varano, già Protonotario Apostolico, che reggeva la Diocesi di Camerino fin dal 1482. Era stato anch’egli fra gli artefici della stagione dell’umanesimo camerte, archeologo ed antiquario, raffinato poeta in latino e volgare.
Aveva aderito a Roma all’Accademia di Pomponio Leto ed aveva intrattenuto rapporti con i più significativi uomini di cultura del suo tempo.
Fu sepolto nella Chiesa cattedrale, e sulla sua tomba fu scritta l’epigrafe:

FABRITIUS VARANUS EPISCOPUS CAMERINI
FRATER PETRI GENTILIS,
VIR IN SACRIS LITERIS MAXIME ERUDITUS,
PHILOSOPHIA, & LEGUM
SCIENTIA POLLENS,
QUI ECCLESIAM CAMERINEN.
OPTIME GUBERNAVIT
OBIIT 1508

Il fratello Piergentile, che da Ferrara aveva raggiunto Fabriano per prendere parte ai funerali, morì durante il viaggio di ritorno colpito dal calcio di una mula. Durante lo stesso anno, morì anche
Guidubaldo, duca di Urbino.
Intanto il processo di pacificazione all’interno dello Stato di Camerino si era consolidato: la città aveva ripreso a prosperare, e lo stesso Giovanni Maria si era impegnato in un lavoro di riassetto urbanistico 22 . Nel 1510, papa Giulio II fu ospite dello Stato di Camerino, ricevuto con molti onori e fu accompagnato dallo stesso Signore in pellegrinaggio al Santuario di Loreto. Fino al 1511, Giovanni Maria Varano battè moneta insieme con la madre Giovanna Malatesta 23 .
Eletto nel 1513 il cardinale Giovanni de’ Medici, con il nome di Leone X, la fortuna di Giovanni Maria Varano fu assicurata dalla fedeltà e dalla riconoscenza dimostrata al suo casato da Varino Favorino, già precettore di casa Medici 24 . Il signore di Camerino fu presente a Roma alle cerimonie
per l’incoronazione del nuovo pontefice, dal quale ottenne i castelli di Visso e San Ginesio.
Nel 1515, lo Stato di Camerino fu eretto a Ducato e gli fu conferito il titolo di Duca, in riconoscimento del leale operato al servizio della Sede Apostolica: “Considerantes quoque, quod ipse Ioannes Maria: iustitia, modestia, & animi magnitudine subditos sibi populos hactenus retexit, quantum ipsam Civitatem, & loca praedicta, cum publicis, & privatis aedificiis ampliaverit, atque exornaverit, quantum etiampacem, & bonas artes, mercaturam quoque, & comercia confovendo populos sibi subditos auxerit, ac ditaverit, ac etiam sperantes ipsum Ioannem Mariam in dies maiora praestiturum, habita etiam super his cum venerabilibus fratribus nostris eiusdem S.R.E.
Cardinalibus deliberatione matura, & de illorum unanimi consilio, & assensu, ac de Apostolicae potestatis plenitudine, & ex certa nostra scientia Apostolicae potestati inherendo quoad erectionem Civitatis Camerinen. in Ducatum literis d. Alexandri praedecessoris pro potiori cauthela Civitatem
Camerinen. praedictam in Ducatum ad instar aliarum Civitatum, & Terrarum Ducali dignitate fulgentium, tenore praesentium perpetuo de novo erigimus, & Ducatus iure, facultate, nomine,
titulo, insigniis, & praeminentiis universis insignimus”. Il documento della Cancelleria Apostolica ha il tono di un riconoscimento di meriti e, ad un tempo, di un risarcimento per i lutti ed i danni subiti.
Le cerimonie dell’incoronazione ducale si svolsero con magnificenza a Camerino nel luglio 1515: la città era in festa, inondata di fiori; le sue strade erano segnate da archi trionfali eretti per onorare la circostanza.
La nobiltà locale era accorsa insieme con il Cardinale Legato della Marca, i Capitani delle Arti, in rappresentanza della città, erano in fermento; da Roma era stato inviato il cardinale Innocenzo Cybo, nipote del papa, con un corteggio di due vescovi. Tra questi, era Varino Favorino, vescovo di Nocera Umbra, già protetto dal vescovo Fabrizio, ora a sua volta protettore di Giovanni Maria Varano.
La cerimonia dell’investitura è minutamente descritta nell’Istoria della città di Camerino:
“ celebrata che fu la Messa, il Cardinal Cibo fatto spogliare Gio:Maria dell’habito ordinario, lo vestì con la veste Ducale; cinsegli la testa d’una corona, e presa la spada (…) gli la fece impugnare, rimbombando subito l’aere per lo strepito dell’Artiglierie della fortezza sovrastante al luogo della funtione. Furono sparse molte monete frà il popolo, cuniate à quell’effetto in rame, in argento, & in oro con l’arme del nuovo Duca, e con lettere nel roverso per la gloria, e culto di Leone X (…). Dopo la funtione s’inviò il Clero, con una solenne processione verso la Città, e fece l’ingresso per la porta di San Giacomo. I Capitani dell’arti, fermatisi in quel luogo, attesero
Gio:Maria, che vestito con habiti Ducali, con la corona, e con una bacchetta d’oro in mano cavalcava in mezo à i Prelati. Sceso che fù in terra, i Capitani, con rogito parimnte di Notaro, gli resero lo Stato. Rimontato à cavallo, andò alla chiesa di S. Maria, e per la strada erano molto frequenti gli archi trionfali, s’udiano incessantemente i suoni delle Trombe, de’ Piffari, e d’altri
strumenti, rimbombando l’aere al terminare della funtione, & all’arrivo di Gio:Maria alla porta di San Giacomo per l’artiglierie. Fù letto publicamente in S. Maria il Breve (…) di Leone X da Nicolò Vicomanni Arcidiacono. Rambotto dell’istessa famiglia à nome suo, e de’ Capitani dell’Arti prestò
al Duca il solito giuramento della fedeltà. In quel giorno, e negli altri appresso si corsero pallij, si fecero giostre, con ogni altra dimostrazione d’allegrezza”.
Era stato intanto concordato il matrimonio fra Giovanni Maria e Caterina di Francesco Cybo, nipote di Leone X.
Le nozze, benedette da Varino Favorino, vescovo di Nocera, avvennero nel 1520, anno in cui, come narra la genealogia di Casa Varano “ la suocera Maddalena Cibo, che non era mai sazia di veder nel genero uniti onori e ricchezze, ottenne da Leone X suo fratello che a Giovanni Maria sosse
conferita la dignità di prefetto di Roma, tolta ai Rovereschi, e nel 1521, quella di ammiraglio di Santa Chiesa”.
La morte improvvisa di Leone X, attribuita da molti ad avvelenamento 25 , decretò la fine di un potere non immeritato, ma conseguito troppo rapidamente, secondo una logica nepotistica che aveva attirato contro il Duca di Camerino l’odio ed il risentimento degli antagonisti di casa Medici.
Francesco Maria della Rovere aveva intanto recuperato il ducato di Urbino e, riconquistata Senigallia, avanzava verso Camerino nell’intento di insediarvi il nipote Sigismondo Varano.
Giovanni Maria anticipò gli eventi, affidando la città al conte di Montevecchio e raggiungendo Roma. Intanto i progetti di Francesco Maria della Rovere si realizzavano: Sigismondo entrava a Camerino con il favore popolare e riusciva a tenere la rocca fin quando il Duca, di ritorno da Roma,
non lo impegnò in uno scontro armato dal quale uscì sconfitto. Fu Sigismondo allora a chiedere a Roma l’aiuto dei Colonna, suoi parenti 26 ed alleati. Il papa appena eletto, Adriano VI (1522-’23), sembrava propenso a riconoscere i diritti ereditari del figlio di Venanzio: Giovanni Maria si risolse dunque ad assoldare un sicario, che il 22 giugno 1522 assalì ed uccise Sigismondo alla Storta, mentre tornava a Roma da Viterbo, dove si era recato per assoldarvi milizie. Alla morte di Adriano VI, l’elezione di Giulio de’ Medici, che prese il nome di Clemente VII, sembrò assicurare di nuovo
la stabilità politica di Giovanni Maria, che il 2 maggio 1524 ottenne una Bolla di conferma del ducato di Camerino, da trasmettersi all’unica figlia Giulia, nata un anno prima (24 marzo 1523). Per assicurare al casato dei Varano il ducato di Camerino, Giovanni Maria aveva disposto che i due
rami della famiglia si ricongiungessero attraverso le nozze di Giulia con uno dei figli del cugino Ercole, ma gli eventi che seguirono alla sua morte, avvenuta nell’agosto del 1527, portarono alla definitiva perdita dello stato 27

1 L’atto notarile parla infatti di “domos omnes et molendina Lanciani”. La fortificazione operata da Giovanni di Berardo
seguirà a trenta anni di distanza.

2 Così il “Codice Varanesco” custodito presso l’Archivio di Stato di Parma, descrive l’attività difensiva realizzata con successo da Giovanni di Berardo durante la seconda metà del Trecento: “In dei nomine anno domini millesimo CCCLXXXI indictione III tempore domini Urbani pp.VI die dominico prima mensis septembris in festo S. Egidi (…) Magnificus Et potens miles Iohannes domini Berardi de Camerino (…) fundavit quadam turrim vel fortellium in monte Beregne et vocatum fuit troncapassi positum in disttrictu Camerini (…). Item anno domini MCCCLXXXII die XX Iuni V ind. edificata et facta fuit turris salvus me fac (…) edificata fuit turris porte ferris per dictum dominum Iohannem.
3 Lettera del 20 gennaio 1458, inviata da Giulio Cesare Varano a Giovanni di Cosimo de’ Medici (Archivio di Stato di Firenze, Carteggio Mediceo avanti il Principato, filza n° 306).
4 Copia dell’inventario di quanto si trovava nel Castello di Beldiletto all’epoca dell’occupazione borgiana è stata cortesemente fornita al duca Piergentile Varano dall’attuale proprietario, Giovanni Maria Paparelli.
5 Nota amaramente Patrizio Savini nella sua Storia della città di Camerino: “ Molto confidava Giulio nella fortezza di Camerino, e nell’amore de’ Camerinesi, ma questo restringevasi ai contadini, e plebei, mentre dai nobili era male sofferto”, alludendo alle famiglie dell’aristocrazia locale, che si sarebbe presto schierata al fianco di Cesare Borgia.
6 C. Lilii, Istoria della Città di Camerino, Camerino 1835, Parte Seconda Libro Settimo, pp. 240-241.
7 Nel 1471, fu ospite di Giulio Cesare Varano a Camerino Borso d’Este, duca di Ferrara.
8 Così narra una testimonianza di Ludovico Clodio, riportata dal Papasogli, cit.
9 Cfr. A. M. Corbo, Suonatori, cantarini e strumenti musicali nel ‘500 in San Ginesio e nel Maceratese, Comune di San Ginesio 1993.
10 A. M. Corbo, San Ginesio e la tradizione musicale maceratese tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘500: giullari, suonatori e strumenti musicali, Comune di San Ginesio 1992, pag. 48.
11 Cfr. D. Aringoli, L’ Università di Camerino, Milano 1951.
12 C. Lilii, cit., p. 241.
13 “ Annuit Pontifex ex lege ne S. Constantiae ecclesia profaneretur, sed in ea quandoque, missae celebrarentur”, secondo il documento riportato dal Feliciangeli, Notizie e documenti sulla vita della Beata Camilla-Battista Varano da Camerino, estratto dalla rivista “Picenum Seraphicum” n°1, Macerata 1915.
14 Secondo il Feliciangeli, che riprende fonti coeve ai lavori posti in atto da Giulio Cesare Varano, questi avrebbe “ amplifica(to) il vero dicendo di aver sostenuto grandi spese per quella fabbrica”. E’ però da condividere l’ analisi condotta da Gaia Remiddi (Rilevamenti e ipotesi sull’architettura del monastero di Santa Chiara a Camerino, in “Camilla Battista da Varano e il suo tempo. Atti del Convegno di Studi sul V centenario del monastero di Camerino”, Camerino 1987), che ritiene il convento degno di essere “ annoverato – almeno per il suo cortile – tra le opere più alte del Rinascimento, non solo camerte, ed andrebbe cercato il nome del suo autore fra gli artisti presenti alla corte di Giulio Cesare”.
15 Cfr. A. A. Bittarelli, S. Chiara. Coro dell’Indivini, in “Camerino. Viaggio dentro la città”, Macerata 1978 .
16 C. Lilii, cit.
17 Casa Varano si lega agli esponenti delle famiglie più in vista nella società borghese e mercantile, attraverso la consueta strategia di alleanze matrimoniali. Lo stesso matrimonio di Giulio Cesare Varano con Giovanna Malatesta costituisce una festa di popolo ed un’occasione di conciliazione, dal momento che ben 221 cittadini su una popolazione di poche migliaia di abitanti intervengono come invitati alle nozze.
18 La Lega era stata istituita dal Papa, dalla Serenissima e dalla corte di Spagna contro Ludovico Sforza, conte di Milano.
19 Cfr. Lilii, cit., Parte Seconda Libro Settimo, p. 247 e sgg.
20 Pirro, appena sedicenne, “ fu strangolato da un soldato spagnolo per ordine di Micheletto di Valenza (…) Avendo dopo la supposta morte dato ancor segni di vita, fu strangolato una seconda volta. Era giovane di grandi speranze”.
21 Così il Lilii descrive l’impresa compiuta da Giovanni Maria, nell’intento di riconquistare lo Stato di Camerino: “ nel principio di Dicembre, aggiuntisi cinque altri cittadini a li tre, gli aprirono di notte una porta, e l’introdussero insieme con quelli dell’istesso partito nella città, nella quale sù le cinque ore s’udirono le voci popolari, Varano, Varano, per essersi sparsa la fama dell’entrata di Gio:Maria incontinente da i cittadini del suo partito”, cit. Parte Seconda Libro Ottavo.
22 “ Gio:Maria per ornamento della Città atterrò molte case, e fece levare alcuni ponti ch’impedivano la vista delle strade: e presso le mura fabricò un lungo corridoio segreto per far passaggio per esso dal Palazzo alla fortezza”, ivi.
23 Fino al 1511, le monete coniate da Giovanni Maria e da sua madre Giovanna furono suddivise in grossi, quattrini e piccioli; successivamente, Giovanni Maria batté moneta in ricordo degli onori concessi da Leone X. I nuovi conii furono i seguenti: ducato d’oro; giulio; grosso; mezzo grosso; quartino; quattrino; picciolo, in metalli e leghe di differente valore.
24 “ Morto intanto Giulio II e successo nel pontificato Leone X, Guerrino Favorino originario dal Castello della Pieve Favera, che in luogo del Clodio era stato nominato Arciprete di Caldarola, subentrò per la morte dell’istesso alla dignità del Vescovo di Nocera, rimunerato da Leone, di cyui era stato lungo tempo famigliare, e portò questi gl’interessi di Gio:Maria efficacemente presso il nuovo Pontefice. Nell’anno primo del Pontificato ottenne l’istesso Visse, e Sanginesi, e nell’anno 1515. fù dichiarato Duca ”, ibidem.
25 I sospetti caddero sul coppiere del papa, Bernabò Malaspina, che venne arrestato; il maestro cerimoniere chiese insistentemente che fosse effettuata l’autopsia, ma la Curia preferì mettere a tacere la questione.
26 Sigismondo Varano aveva preso in moglie Ottavia, figlia di Giulio Colonna signore di Montefortino.
27 Così sintetizza gli avvenimenti la genealogia latina dei Varano: “ Julia Varana, quam Pater in ultima sua voluntate Matthiae, aut uni ex fratribus Herculis filiis nubere voluit, verum mater Catharina (…) mariti contra voluntatem, eam dedit in matrimonium Guidoni-Ubaldo Feltrio, vel Roboreo Urbini Duci A.C. 1533, qui post multa variaque proelia cum Paulo III Papa habita, urbem tandem Camerinum Pontifici cessit A.C. 1539”.

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